Un progetto editoriale. Bloom!, Persone & Conoscenze, Virus


Questo testo è stato scritto nel 2004. In quell’anno è uscito il primo numero di Persone & Conoscenze e il primo titolo della collana Virus. Ripensando dieci anni dopo a questo progetto, colgo un limite nell’approccio ‘editoriale’. Si apre il campo all’on line, ma nulla si dice degli incontri faccia a faccia. Se scrivessi ora, aggiungerei al progetto qualcosa a questo proposito. Nei fatti ho aggiunto a questi ‘prodotti editoriali’ gli incontri Risorse Umane e non Umane, legati a Persone & Conoscenze, e gli incontri presso la Casa di Vetro.

Produrre, diffondere, condividere conoscenza
Duplicare, stampare, pubblicare, rilasciare (to release) il software: siamo abituati a pensare a modalità di gestione della conoscenza diverse da caso a caso. Ciò che valeva per il libro non valeva per la stampa periodica, e tantomeno per la la fotografia, per il film, per il software. Tutto questo oggi ci appare obsoleto. La tecnologia ormai affermata, fondata su un comune utilizzo dell’informatica, ci impone di intendere le cose in un altro modo.
Progetto: ‘prefigurazione ciò che si ha intenzione di fare’, schizzo, abbozzo. In origine il latino pro- jacere, pro- jactus, che esprime il concetto di ‘gettare avanti’. Non siamo poi tanto lontani dal senso della edizione: ‘produrre’, ‘generare’, ‘dare alla luce’. In origine il latino ex dere, ‘mettere fuori’, ‘spingere fuori’. Dunque con l’idea del progetto si guarda aldilà dei confini dati e noti, con l’idea dell’edizione si rende noto. L’edizione è storicamente legata alla tecnologia della stampa. Tramite la stampa si divulga, si rende pubblico.
Ora, con nuove tecnologie, in particolare con la Rete il modo di diffondere conoscenza cambia. Perde senso l’idea del broadcasting: non c’è più bisogno di passare attraverso le forche caudine di enti in grado di filtrare e di decidere cosa diffondere -dalla stamperia rinascimentale all’antenna centrale della radio e della televisione-. In questo contesto, dovremmo ripensare anche la diffusione e la socializzazione di conoscenze relative al lavoro, alle organizzazioni, al management, alla formazione ed allo sviluppo delle persone.

Prosumer
Non più pochi eletti che conservano il sapere e lo divulgano. Siamo tutti, come dimostra il fenomeno dei blog, produttori e consumatori di conoscenza. Quando Toffler, in The Third Wave, nel 1980, parlava del superamento dei ruoli contrapposti di produttore e di consumatore, e della convergenza verso il ruolo di prosumer, aveva pienamente ragione, almeno per quello che riguarda le conoscenze. E’ chiaro che, se usiamo le potenzialità offerte da data bases, digitalizzazione delle informazioni e Rete, cambia l’assunto di partenza: i media non solo ‘da leggere’, ma al contrario media pensati perché ognuno possa essere non solo ‘lettore’, ma anche ‘scrittore’. C’è una idea di avvicinamento, di fusione, e però non mancano aspetti preoccupanti. Muoversi in un contesto privo di confini chiari suscita timori e ‘fa paura’. Dove finisce il ruolo di lettore, dove inizia il ruolo dell’interprete, e chi può essere in definitiva chiamato autore, se chiunque scrive sempre elaborando il contenuto di testi già scritti? Non a caso per parlare della convergenza dei ruoli degli attori coinvolti nel processo comunicativo, così come per parlare della convergenza dei media, serve, assieme al verbo inglese merge (che rimanda all’idea della superficie dell’acqua intesa come confine: immergersi, emergere), il verbo blur, che porta con sé connotazioni relative a un mondo oscuro indistinto, brumoso.
Per muoversi nel nuovo contesto, serve un nuovo atteggiamento, orientato alla cooperazione e alla condivisione. Serve autostima e consapevolezza delle proprie doti e delle proprie potenzialità, perché il velo garantito dalla maschera del ruolo -sia di autore, sia di interprete, sia di lettore- diventa sempre più leggero ed impalpabile.

Autori, interpreti e lettori
I ruoli dell’autore, dell’interpreti e del lettore sono nati insieme al libro – in un contesto che ha avuto successive manifestazioni nella televisione generalista e e nell’informatica fondata sul mainframe, ma che è rimasto uguale a sé stesso. Presiede a questo contesto l’idea del broadcasting, una idea one to many: da pochi produttori a molti consumatori. I media sono, in questo contesto, mass media. Ora, i nostri atteggiamenti sono ancora legati a questa cultura: autori, interpreti (critici, commentatori, insegnanti) e lettori concordano nel ritenere giusto che pochi siano gli scrittori e gli interpreti , e una massa sterminata i lettori. Dietro l’atteggiamento si cela il meccanismo di difesa. Il motivo, dal punto di vista dell’autore e dell’interprete, è evidente. Senza barriere di accesso -che giustificano status e remunerazione- il loro verrebbero meno. Ma l’atteggiamento è condiviso anche dai lettori: è rassicurante e comodo delegare ad altri la responsabilità di ‘sapere’, di ‘studiare’, di produrre conoscenza e anche testi di valore estetico – romanzi e poesia. E quando qualcuno si propone di passare dal ruolo di lettore a quello di autore, è mosso per lo più dal desiderio di raggiungere lo status dell’autore, di entrare a far parte della casta dei pochi eletti. Infatti si nota in molti casi che non interessa tanto pubblicare, diffondere i contenuti prodotti – come si può fare, molto efficacemente, con costi non proibitivi, senza barriere di accesso, pubblicandoli sulla Rete. Interessa ‘essere autore di un libro’.
Ma il contesto è cambiato. La Rete ci propone un modello del tutto diverso dal broadcasting: nella Rete non c’è centro e non c’è periferia, ogni nodo può essere il centro. Il mio dominio, il sito attraverso il quale ho reso disponibile la conoscenza che ho prodotto, gode in linea di principio della stessa accessibilità e dello stesso status del dominio della Enciclopedia Britannica o del New York Times. Il nuovo contesto ci costringe a cambiare atteggiamento: se tutti ormai possono scrivere e pubblicare, è vano avere paura del fatto che tutti scrivano.
E ci si accorge dei vantaggi del diverso atteggiamento: ben vengano le difficoltà legate al muoversi in una massa enorme di testi. Meglio affrontare -con l’efficace aiuto di strumenti tecnologici come il motore di ricerca- il difficile viaggio in una massa di testi infinita, piuttosto che disporre solo della conoscenza prodotta da alcuni. Non per questo la qualità dei contenuti decade: se molti scrivono, molti saranno gli interpreti. La sanzione di autorevolezza della fonte non sarà più (solo ed esclusivamente) frutto del parere di un interprete professionista, ma sarà frutto del convergere di opinioni di soggetti diversi.
Muoversi sulla Rete, scegliendo la fonte migliore tra le diverse offerte dal motore di ricerca significa, né più né meno, svolgere il ruolo dell’interprete Se guardiamo a cosa già accade, appare evidente il trend: saremo tutti, sempre più, autori, lettori ed interpreti, allo stesso tempo. Perché scrivere e pubblicare Il passo dall’one to many all’idea di censura è breve. Il sano -in teoria- orientamento a evitare la pubblicazione di ciò che non merita di essere pubblicato, facilmente si trasforma nell’esercizio di potere, nell’uso dell’autorità per impedire la pubblicazione di punti di vista diversi dal nostro. Un meccanismo sociale le cui conseguenze sono ben note, e contro il quale è facile scagliarsi. Ma ancora più gravi sono le conseguenze dell’interiorizzazione di questo meccanismo di controllo. Il fatto incontestabile -la censura esiste- finisce per essere soggettivamente utilizzato come alibi. Dal ‘non mi esprimo perché non c’è libertà di espressione’, facilmente si passa al ‘non mi esprimo perché le mie opinioni non hanno valore’.
Ora, la Rete incrementa enormemente gli spazi per la libertà di espressione. Ma restano in ognuno difese che finiscono per trasformarsi in autocensura. Perché in realtà -a motivare la rinuncia a scrivere- non stava solo l’impossibilità di pubblicare. Stava lo scarso valore riconosciuto a sé. Dunque, lo scenario tecnologico che permette a tutti di pubblicare ci toglie l’alibi, e ci impone di confrontarci con la libertà e con il piacere della scrittura. Siccome le resistenze sono dure a morire potremmo chiedere ancora: perché scrivere, se già molti lo fanno. Una prima risposta, di ordine sociale, è questa: non solo prendere ma dare, così si costruisce la rete che avvantaggia esponenzialmente tutti.
Nella logica della Rete il poco che do può anche essere in sé irrilevante, ma acquista valore se connesso ad altri contenuti. Ciò che agli occhi del produttore può sembrare scarto, sarà probabilmente utile ad altri. E siccome ora connettere contenuti è possibile, sarebbe un vero spreco non mettere a disposizione quello che si ha. Senza il poco dato da molti non si costruisce conoscenza. Una seconda risposta riguarda la sfera della persona, e ha a che fare con il superamento dell’autocensura.
Scrivere è un diritto ed uno strumento per cercare l’equilibrio personale. Serve ad elaborare le esperienze. Si può dire che la cattiva scrittura è la scrittura di chi vuole imporsi con arroganza ai lettori, considerati in fondo inferiori. Mentre la buona scrittura è la scrittura che è frutto di un lavoro su di sé. Ho dunque enunciato un motivo per scrivere. Ma perché pubblicare? Perché diffondere, se si è lontani dall’atteggiamento ‘docente’ del tradizionale autore di libri? E’ giusto ed utile pubblicare, perché chi scrive per lavorare su di sé offre agli altri un servizio: mostra una strada, un possibile percorso. Non è importante dire qualcosa di nuovo. Forse anzi è impossibile: anche là dove ci illudiamo di dire qualcosa di nuovo, stiamo probabilmente ritornando su cose già dette da altri. Ma nonostante questo stiamo aggiungendo qualcosa: la testimonianza della nostra esperienza personale. Che è sempre una ricchezza, un incremento. Ognuno ha una autobiografia, e ha il diritto di narrarla. Ma poi, narrandola, mostra una lettura del mondo unica, legata alla sua individualità. E stimola i lettori ad uscire, anche loro, dal ruolo del lettore: come lui ha narrato il suo punto di vista, posso e debbo farlo anch’io.

Bloom!, Persone & Conoscenze, Virus : un progetto editoriale
Ecco dunque Bloom!, Persone & Conoscenze, Virus. Un sito web, una rivista, una collana di libri. Tre aspetti di uno stesso ‘progetto editoriale’. Tre diversi media accomunati da una generale tematica -come lavoriamo, come gestiamo il potere nelle organizzazioni, come usiamo le risorse-. Una tematica che è volutamente non precisamente definita, caratterizzata da confini sfumati. Il confine non può essere né prefigurato né imposto. Percorsi di senso che stanno totalmente dentro le tematiche sopra accennate portano a nuove, inattese connessioni, rispetto alle quali dobbiamo restare aperti e bendisposti. (Penso alla scolastica nozione del ‘fuori tema’: l’insegnante -che è una variante della figura dell’interprete- dà per questo un brutto voto.
Chi va fuori tema sfugge al suo controllo. Ma è proprio andando fuori tema che si allarga l’orizzonte della conoscenza). E media accomunati, ancora, dall’attenzione a come, oggi, nel contesto tecnologico -e quindi culturale e sociale- sopra descritto, le conoscenze possono essere elaborate, diffuse e socializzate. Tutti e tre i media tengono conto -in un loro peculiare modo- delle opportunità offerte dal contesto tecnologico: multimedialità; ipertestualità, interattività. I contenuti passano da un media all’altro, in questo passaggio si rinforzano e si chiariscono. Il fruitore ha a disposizione modalità diverse per avvicinarsi ai contenuti: il sito accoglie contenuti frammentari, non necessariamente rifiniti, di lunghezza non definita a priori, e offre rapidità di accesso e facilita la collocazione del testo in una rete di connessioni; l’articolo di rivista offre una sintesi più articolata e precisa, e facilita la lettura meditata; il libro propone un sistema di contenuti più ampio, ricco di articolazioni interne.
Eppure il libro e l’articolo e il testo pubblicato sul web si offrono alla fruizione come parti di un tutto, non hanno pretese di esaustività né si presentano come ‘definitivi’ né impongono al lettore una figura di ‘autore’ alto e lontano. Modello e laboratorio Intendo il progetto editoriale Bloom!Persone e ConoscenzeVirus non come esito, o risultato conseguito. E’ niente più che un modello e un laboratorio. Modello: latino volgare modellus, diminutivo di modulus ‘misura, standard’, a sua volta diminutivo di modus, ‘misura, maniera’. Insomma: non imposizione o regola o esempio di ‘cosa si deve fare’. E invece esempio di ‘un modo di fare’ che si definisce ed evolve nel corso dell’azione. Laboratorio: bottega artigianale, luogo dove si lavora attorno a un progetto, e cioè ‘guardando avanti’. Ovviamente non può trattarsi del progetto di una sola persona.
Questi luoghi di incontro e di collaborazione sono di tutti coloro che condividono l’interesse a ragionare muovendosi in un campo tematico dai confini sfumati. Sopra ho provvisoriamente descritto il campo: come lavoriamo, come gestiamo il potere nelle organizzazioni, come usiamo le risorse. In ultima analisi il campo può essere sinteticamente descritto come luogo dove si lavora attorno alla conoscenza. La radice indoeuropea gn-/gen-/gne-/gno-, da cui conoscenza e knowledge, parla di ‘accorgersi’, ‘apprendere con l’intelletto’, ‘sapere qualche cosa’. Quindi: sapere per fare. Potremmo dire che, in fondo, ogni azione produttiva parte da un progetto editoriale.