Virus, il contagio dell’esperienza. Una collana di libri


Dal 2004 ho diretto presso Guerini la collana ‘Virus. Il contagio dell’esperienza’. (La collana è stata sospesa quando nel 2013 la casa editrice Guerini e Associati ha trasferito ad una nuova sigla editoriale, Guerini Next, le attività relative ai temi del management, della formazione, della organizzazione aziendale).

Ripropongo qui la riflessione in base alla quale ho fondato la collana.
Possiamo prendere spunto da Richard Dawkins, e dalla sua criticabile, ma stimolante ipotesi: se esiste il gene, per analogia esisterà il meme; un ‘gene’ di pensiero. Unità, pacchetti di conoscenza che si propagano nelle menti come un virus, come entità che perseguono l’obiettivo della propria sopravvivenza e della propria diffusione. A prescindere dal controllo degli umani, ridotti al ruolo di ospiti e di veicoli.
Anche senza addentrarci in ragionamenti sulla biologia e sull’evoluzione, anche considerando i ragionamenti di Dawkins nient’altro che una provocazione, il meme ci stimola a guardare in modo non consueto al processo di diffusione della conoscenza.
Scriviamo, magari credendo di dire qualcosa per primi, ma torniamo inevitabilmente a ridire cose già dette da altri. Leggiamo, e ci troviamo persi di fronte all’impossibilità di ricordare e collocare il contenuto del libro in un luogo adeguato della nostra mente. Ci manca una mappa, ci manca la capacità di connettere testo a testo, porzione di testo a porzione di testo. Ci è impossibile muoverci in modo soddisfacente all’infinita rete di connessioni che da un libro rimanda a un altro libro.
Possiamo pensare che si tratta una sensazione di inadeguatezza che ha accompagnato sempre l’uomo, da quando la conoscenza era legata all’oralità e all’arte della memoria, fino a quando abbiamo appreso ad affidarci alla scrittura ed ai libri. Ma è importante accettare di riflettere attorno a quello che è cambiato: oggi la codifica digitale della conoscenza e il World Wide Web, ci impongono un ripensamento.
Se il libro e il data base potevano concederci l’idea di ‘controllare’ la conoscenza, oggi la conoscenza -il suo diffondersi e il suo articolarsi- sfuggono in modo evidente al nostro controllo. La conoscenza è una galassia di contenuti senza forma, che si accresce e si autoregola a prescindere dalla buona volontà, o dall’arroganza, di quelle figure sociali che siamo soliti chiamare ‘autore’, ‘intellettuale’, ‘professionista’.
Il mercato editoriale ha fatto sì che arrivassero alla pubblicazione solo i libri di persone appartenenti ad una ristretta cerchia di eletti. Questo appare via via più insensato, perché l’occhio del’professionista’, legato alla sua specializzazione e alla difesa del proprio ruolo, è sempre meno adeguato ad offrirci una lettura del mondo nella quale possiamo riconoscerci.
Non c’è autorità alla quale ragionevolmente affidarsi. Nemmeno, in prospettiva, possiamo attribuire autorevolezza agli ‘scienziati’. La scienza è sempre più evidentemente inquinata da interessi economici, da pregiudizi e da partiti presi. La scienza si dirige per strade lontane da quello che riteniamo ‘etico’. O semplicemente ‘giusto per noi’.
Nasce l’esigenza di un controllo sociale diffuso – e questo, non a caso, proprio mentre questo controllo diffuso, attraverso le tecnologie della Rete, diventa realmente praticabile.
Ma al di là del controllo, ancora più importante, l’idea della ‘produzione’. Siamo ridotti, come vuole l’ipotesi deterministica del meme, al ruolo di passivo ospiti, o veicoli di conoscenza?
Vista l’impossibilità di controllare la conoscenza, intesa come sistema stabile e organizzato, diviene centrale l’attività fondata sull’esperienza. Il latino experientia: ‘conoscenza acquisita per tentativi ed errori’, ‘per tentativi ripetuti’. Experientem è participio di experiri: ‘tentare’, ‘provare’. C’è insita una idea di movimento. Mettersi in gioco. Non star fermi in un luogo, in un ruolo.
Siamo, dobbiamo essere in prospettiva, tutti autori e tutti scienziati. Tutti non ancora, non abbastanzaesperti. Ma orientati a sperimentare.
Ecco quindi una collana che nasce nel contesto dei libri di management, ma esplora questo confine e lo sfuma e lo forza. Una collana che sta accanto ad altre collane di libri, di cui non metto in discussione l’utilità, ma anche accanto alla spezzettata ma ricchissima conoscenza sparsa nella Rete.
Una nuova collana di libri. Dedicata alla opere di persone che ‘fanno esperienza’, ‘sperimentatori’.
Libri che per la loro ‘irregolarità’ non trovano spazio in altre collane. Libri ‘di formazione’: prima ancora di essere libri interessanti per i lettori, sono libri scrivendo i quali l’autore si è formato. Considero titolo esemplare della collana Liste. Storie dall’organizzazione, raccolta di racconti di Giuseppe Varchetta.
Libri di dilettanti: leggiamo nelle Affinità elettive di Goethe: “È una sensazione così piacevole occuparsi di qualcosa che si conosce solo a metà, che nessuno dovrebbe rimproverare il dilettante quando si dedica a un’arte che non apprenderà mai, né si dovrebbe biasimare l’artista quando, varcando i limiti della propria arte, si compiace d’inoltrarsi in qualche campo contiguo” (parte seconda, III).
Libri accomunati non dal contenuto -possono essere saggi o romanzi o anche manuali- ma dall’approccio. Libri scritti per sé, come ‘esperimento su di sé’, prima che per la pubblicazione e per il mercato. Libri dove c’è sempre qualche traccia di autobiografia. Possiamo quindi tornare al meme, rovesciando il senso del virus.
Di fronte a una conoscenza generalizzata, che si autoalimenta e che si autoregola e si autoperpetua, ciò che ci è dato come possibilità, e che anzi ci compete, è aggiungere la chiave di lettura che nasce dalla nostra irripetibile storia di vita, dalla nostra unicità. L’ospite ospita il virus, ma ospitandolo lo trasforma e allo stesso tempo ne è trasformato.