La salsa e il suicidio. Andrés Caicedo: cultura giovanile e cultura della violenza in Colombia


In concomitanza con l’uscita presso la casa editrice Sur della traduzione italiana (a cura di Raul Schenardi) di Viva la musica!, sul blog della casa editrice esce a puntate il capitolo che nel Viaggio letterario in America Latina ho dedicato a Andrés Caicedo.
Per me l’America Latina è una enorme metafora, e la letteratura ispanoamericana è una complessa, imperfetta, sempre provvisoria ‘letteratura possibile’, che abbraccia, in modo inatteso, qualsiasi tema. In questo quadro, Andrés Caicedo è estremo, assoluto testimone delle speranze e dei disinganni di chi è stato giovane negli Anni Settanta del secolo scorso. Desideri, scelte personali e politiche trovano espressione nella musica.
Inizio il capitolo con una citazione di Juri Lotman: “Colui che si appropria del diritto di avere una biografia ne ha una ed è lui stesso a narrarla”, una frase che mi avrebbe poi guidato anche quando, esplorando altri terreni, mi sarei trovato a ragionare sull’importanza delle narrazioni come modo di intendere il funzionamento delle organizzazioni.
E poi mi avvicino a quel mondo:
“Notti in bianco, interni squallidi ed esterni rischiarati da insegne luminose, anfetamine e droghe varie sperimentate con ostentata, ma falsa sicurezza, sesso: la generazione che si avvicina all’età adulta tra gli anni sessanta e settanta mostra ‘un bisogno disperato della mano di un estraneo’, cantava Jim Morrison – e questa mano amichevole, per molti, è il rock.
‘Sarei impazzito senza musica rock’ diceva Wim Wenders. Perché come cantava David Bowie: ‘Noi non siamo nulla/ E nulla ci aiuterà./…/Ma potremmo essere al sicuro/ Almeno per un giorno/…/Possiamo essere Eroi/ Almeno per un giorno/ Possiamo essere noi/ Almeno per un giorno/’. E fanno eco i Sex Pistols: ostentatamente Punk, marci e miserabili, ma contro ogni ragione aggressivi: ‘Non so quello che voglio,/ Ma so come ottenerlo/’.
È una assolutamente scena urbana: quando Lou Reed invita a camminare sul ‘lato selvaggio’ della strada sappiamo che si tratta di una immagine, della metafora di uno sballo, eppure non possiamo immaginare altro che un marciapiede di New York, o Londra. Ma proviamo a ripensare tutto questo altrove; a Cali, in Colombia.”
Spero che oggi ognuno di noi mantenga ben vivo il ricordo di quelle stagioni ormai lontane della propria vita, desideranti e trasgressive. Solo mantenendo viva questa memoria possiamo svolgere bene il nostro lavoro, oggi.

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