Formazione poetica, o la poesia come risorsa formativa


Nel momento in cui i tempi difficili ci tolgono il fiato, e sembra inevitabile ad assoggettarci ad agende altrui, già scritte, serve dar valore al proprio punto di vista.
Nel momento in cui sembra che anche la formazione debba guardare ad obiettivi immediati, serve -al contrario- una formazione che aiuti ognuno di noi a riscoprire l’inestimabile valore della propria individualità. Solo così si porta alla luce il contributo che ognuno di noi -e nessun altro- può dare al buon funzionamento dell’azienda.
Serve dunque forse un po’ di coraggio. Guardare oltre i confini della formazione che si fa di solito
Parlate se volete di soft skill, autostima, esternalizzazione delle conoscenze tacite. Dal mio punto di vista, voglio ricordare l’utilità e l’efficacia della formazione poetica, o della poesia come risorsa formativa.
Il ricorso alla poesia, credo, ha una doppia, profonda ragione.
Il primo ordine di motivi riguarda i rapporti interpersonali ed interorganizzativi. Non si riesce ad essere chiari, incisivi, convincenti? I documenti che scriviamo vengono ignorati? Le parole usate in riunioni, le parole accuratamente scelte e presentate tramite Power Point non provocano nessun coinvolgimento, nessuna emozione? Possiamo sempre provare a comunicare in versi.
La poesia parla in forma breve, inattesa. Uno può rifiutarsi di leggere una disposizione operativa, può pensare ai fatti suoi durante l’incontro – ma se si troverà di fronte a quei contenuti espressi in versi…
Il secondo ordine di motivi ha a che fare con l’autostima e, potrei dire, la manutenzione della propria identità. La poesia, infatti, se è sempre gioco con gli altri, è anche, innanzitutto, un gioco con se stessi.
La situazione in cui mi trovo mi mette in difficoltà. Mette in dubbio la mia sicurezza in me stesso. Scrivere in versi è una riparazione del proprio orgoglio ferito. È una elaborazione, un procedimento teso a mettere ordine nei sentimenti. Un procedimento accurato, ma ha anche allo stesso tempo il vantaggio della rapidità e della immediatezza: insomma, una stenografia delle sensazioni.
Scrivendo poesie, dunque, mi avvicino alla tranquillità. Aiuto me stesso a capire dove sto sbagliando, ma anche trovo conferma dei miei talenti. Comprendo meglio cosa mi succede intorno, come funziona l’organizzazione nella quale mi trovo a lavorare. Trovo una via per muovermi oltre gli ostacoli.
Una via efficace, perché nessuno nega che la poesia abbia un senso. Ma onesta, perché la poesia lascia spazio al mistero, all’inspiegabile. Non pretende di dire tutto con chiarezza, parla per immagini, per metafore. Perciò è un linguaggio particolarmente adatto a rappresentare quel sistema complesso che è l’azienda, l’ambiente nel quale ci troviamo quotidianamente a lavorare.
Insomma: la poesia è l’estrema risorsa. Ciò che non può essere detto altrimenti può essere detto in versi.

L’esperienza mi porta dire che si può lavorare con la poesia in aula, anche con persone che non hanno mai scritto poesie.

Di solito procedo così.

Presento un metodo di lavoro, articolato in questi punti:

  • Poesia come ‘estrema risorsa’: ciò che non si può dire altrimenti, si può dire attraverso la poesia

  • Lettura dei sistemi complessi: importanza dei segnali deboli, delle tracce, degli indizi

  • Valorizzazione della soggettività: risposta a un bisogno personale di integrità e autostima

  • Poesia come confronto con i vincoli: come la forma aiuta l’espressione.

Sottolineo quindi alcuni ‘atteggiamenti positivi’, caratteristici dell’‘approccio poetico’:

  1. Rifiutare i metodi dati a priori: il metodo emerge dall’oggetto e dalla situazione

  2. Pensare un sistema, una forma: il pensiero e una galassia, è fluido, non ha capo né coda

  3. Rendere intellegibile il magma – senza pretendere di spiegare tutto

  4. Accettare il mistero, l’ignoto, il limite: non pretendere di dire l’indicibile

  5. Accettare che il testo si faccia da solo

  6. Accettare il disordine: enumerazione caotica

  7. Valorizzare il frammento, il lampo, il dettaglio

  8. Rinunciare a dire tutto e ad organizzare per forza il discorso

  9. Mantenere fiducia nelle associazioni libere

  10. Tenere in conto le emozioni: dolore, piacere, avvicinamenti e allontanamenti dal benessere

  11. Considerare l’importanza e il ruolo dell’incipit e dell’explicit

  12. Provare a leggere ad alta voce.

Cerco di spiegare che si tratta di atteggiamenti che aiutano a liberarsi dall’autocensura: siamo, in particolare in italiana, vittima di una cultura idealistica, frutto soprattutto della lezione di Benedetto Croce, che fa considerare la poesia qualcosa di alto, lontano da noi, riservato a pochi eletti. È un atteggiamento criticato tra gli altri -in modo particolarmente convincente- da Eugenio Montale: se la prendeva con i “poeti laureati” che “si muovono soltanto fra le piante/ dai nomi poco usati: bossi, ligustri o acanti”, mentre lui parla di normali “alberi dei limoni”. Per concludere: “Qui tocca anche a noi poveri la nostra di ricchezza/ ed è l’odore dei limoni”.1 Ora, tutti noi ci siamo sorpresi ed emozionati qualche volta per un ‘odore di limoni’ –nella nostra vita privata e nel lavoro– ma raramente ci siamo permessi scriverne. E quando ce lo siamo permesso, ce ne siamo vergognati, e abbiamo lasciato il frutto della nostra creazione in fondo a qualche cassetto.

L’autocensura rispetto alla scrittura è, sotto altra forma, manifestazione dell’atteggiamento che si manifesta nel non assumersi responsabilità, nell’attenersi a ciò che altri decidono per noi, i dirigenti, il lontano vertice aziendale, così come in aula al docente. Si tratta di un atteggiamento talvolta inevitabile, ma che funge anche da alibi, giustificazione per non metterci in gioco, rinuncia ad esprimersi, ad oggettivare la nostra personale ricchezza.

Prima che per gli altri, cerco di spiegare, facciamolo per noi stessi: esprimendoci recuperiamo autostima, troviamo soddisfazione, ci diverrà così un po’ più lieve il sopportare difficoltà, stress e insoddisfazione; ci apparirà più semplice stabilire un ‘contratto psicologico’ con l’organizzazione.

Quindi –poiché un simile atteggiamento non può essere proposto se il docente stesso non si mette in gioco–, leggo o offro in lettura qualche mia poesia.

In questo modo ho lavorato in luoghi diversi. Ne sono emerse poesie su diversissimi argomenti: ricordo la poesia, in inglese, di una ragazza australiana sulla razza bovina Wagyu (razza giapponese ben radicata in Australia), sul calciatore Cassano, sul tragico evento delle Twin Towers, e naturalmente poesie autobiografiche e sui propri capi e su colleghi e su situazioni di vita aziendale. Qualche traccia cronaca di un simile lavoro d’aula la trovate qui.

Se cercate i testi che su questo sito, trovate marcate con il tag ‘poesia‘ trovate varie cose. Così come trovate riferimenti ai miei due libri di poesie aziendali, T’adoriam budget divino e L’irresistibile ascesa del Direttore Marketing cresciuto alla scuola del Largo Consumo. (Se non avessi mai scritto poesie, se non mi ritenessi in qualche misura poeta, non mi arrischierei a lavorare con questi strumenti in aula: posso considerarli efficaci perché parlo in fondo del mio vissuto, offro ciò che mi è stato personalmente utile).

Su Scribd, trovate un articolo che parla in mondo approfondito di questo approccio.

1 “I limoni”, del 1921, sta in Ossi di seppia, 1925.