Scrittura collaborativa come costruzione del gruppo, o se volete, scrittura collaborativa come ‘team building’, o storytelling


Non mi piace dire storytelling, preferisco parlare di scrittura e di narrazione, e non mi piace parlare di  team building, visto che possiamo dirlo in italiano. Ma siamo lì: offrire contesti e situazioni attraverso le quali un gruppo di persone destinate a lavorare insieme trovi coesioni, equilibrio, spirito di squadra, identità collettiva.
Comunque, si usa fare team building, portando le persone a fare scalate, o discese di torrente in canoa. O magari più semplicemente ed efficacemente si offre un viaggio collettivo. Oggi, poi, scrivo all’inizio del 2013, pare particolarmente di moda il lavoro in cucina agli ordini di uno chef: a qualcuno piace chiamarlo team cooking, o qualcosa del genere.
Ma così non si toccano se non indirettamente i veri nodi dei conflitti, delle incomprensioni, delle differenze di punti di vista e dei difficili rapporti di potere.
Si potrebbe, certo, lavorare alla costruzione del gruppo attraverso un tradizionale lavoro d’aula.
O anche tornare ad utilizzare T group. Gruppi intesi come situazione di apprendimento, dove, a seconda delle situazioni e degli individui che vi prendono parte, si possono scoprire cose diverse, su se stessi, sul rapporto con gli altri. Oppure lavorare con approcci tipo Action Learning: incontri che hanno per tema le situazioni problematiche vissute dai partecipanti, e da loro proposte alla riflessione collettiva.
Ho utilizzato invece in più di una occasione un altro approccio, che mi pare particolarmente efficace: la scrittura collaborativa.

Ricordo in particolare un lavoro svolto nel 2007 presso una Compagnia di Assicurazioni. Un nutrito gruppo di formatori  -mi pare di ricordare, una trentina- è impegnato in un progetto complesso. Si tratta di preparare il personale di agenzia all’uso di un nuovo programma informatico. I formatori hanno provenienze, culture, competenze diverse -da professionisti della formazione a tecnici assicurativi- ma debbono lavorare in coppia. Coppie mutevoli nel tempo, secondo un articolato calendario che porta i formatori, per più di due anni, in giro per l’Italia. In ogni luogo deve essere erogato lo stesso pacchetto formativo.
Le comunicazioni con il capoprogetto, via mail e via telefono, i rapporti stesi dopo ogni tappa, e le rare riunioni lasciano molto di non detto. Le riunioni, in particolare, sono occasione di duri faccia a faccia, conflitti che sfociano in litigi. Fatica, stress, solitudine, invidie generano un clima che sembra peggiorare nel corso del tempo.
Sono coinvolto dal capoprogetto. In un primo incontro partecipo con un intervento apparentemente del  tutto decontestualizzato: racconto di romanzi che parlano di esperienze in qualche modo collegabili al lavoro svolto dai membri del gruppo. Al termine dell’incontro propongo l’idea della scrittura come modo per elaborare esperienze di lavoro. Né io né il capoprogetto ci preoccupiamo di andare oltre lo scetticismo mostrato dai partecipanti.
Successivamente, tre mesi prima di un previsto incontro, il capoprogetto propone ai membri del gruppo di scrivere, e di inviare a me via e-mail, un testo scritto con ampi margini di libertà.
Cito dalla e-mail inviata ai membri del gruppo. Si invita a scrivere del “Progetto Xxxx, dentro e fuori di me”. Di “quest’ultimo anno vissuto … xxxxxente (dove nell’ultima parola ci può stare di tutto:  faticosamente, per niente, in modo divertente, deludente, stupefacente, del tutto assente, ecc. ecc.)”. “Per tutti un modo aperto di descrivere situazioni, rapporti, esperienze e qualsiasi altro aspetto si sia fermato sotto la polvere della fatica, rabbia, gioia, delusione  o soddisfazione: con un approccio propriamente personale (dalle due pagine all’enciclopedia)”.
Iniziano ad arrivarmi i testi -alcuni brevissimi, altri lunghi ed elaborati; alcuni scritti frettolosamente, alcuni veramente ben scritti-.
Intanto, in vista dell’incontro ormai messo in agenda, per sedare i timori e per smontare fuorvianti attese, il capoprogetto scrive via mail ai membri del gruppo, a proposito di ‘cosa ci aspettiamo’. La copio qui:
“Certamente il come rappresenta l’ostacolo maggiore che ci troviamo davanti. Proviamo quindi ad immaginare, prima di affrontare quali strumenti utilizzare, cosa ci aspettiamo da questa giornata. Oppure, prima e meglio, cosa non ci aspettiamo.
Non ci aspettiamo soluzioni funzionali alle ns. attività: Varanini non è il progetto.
Non ci aspettiamo un’infusione di sapere: Varanini non è uno stregone.
Non ci aspettiamo formazione o addestramento alla formazione: Varanini sa far di meglio.
Non ci aspettiamo un momento di svago: Varanini non è un clown.”
(Noto tra parentesi che questo semplice messaggio è la prova di come molto, nella formazione, dipende dall’aver un buon committente: un committente che sa quello che vuole, che non si aspetta la luna, sempre in guardia rispetto ad una certa formazione che ‘vende fumo’).
Svolgo il mio lavoro di costruzione del testo. Organizzo in paragrafi, eliminando solo ciò che è del tutto sovrapposto a ciò che è stato detto in modo più preciso ed efficace da altri. Metto insomma in campo la mia competenza narrativa, o più specificamente, in questo caso, redazionale, per montare i diversi contributi in un’unica narrazione.
Sono un terzo, molti aspetti dei conflitti mi sono ignoti. Anche ciò che ha scritto il capoprogetto è trattato alla pari, come ciò che hanno scritto gli altri. Il testo -quindici pagine- che emerge è un testo collettivo, il frutto di un lavoro collaborativo. E’ in gioco anche il valore dell’anonimato: fondo i diversi brani senza mettere al termine di ognuno il nome dell’autore. L’autore non è uno, gli autori sono tutti, solidalmente legati. Il testo è di tutti. L’autore è il gruppo.
Copio di seguito l’e-mail con cui ho inviato il testo da me redatto al committente:
“Caro Xxx,
ho letto tutto con attenzione. Certe cose sono commoventi, altre profonde, nel complesso noto rispetto per sé stessi, serietà, impegno.
Le contraddizioni e le difficoltà ci sono, come in ogni lavoro, e come nella vita di ogni persona, l’importante è il lavoro che si fa per elaborare e mantenere equilibrio e tensione.
Quello che hai scritto tu, lo commentiamo insieme quando c’è l’occasione.
Ho evitato sintesi tramite slides perché Power Point svalorizza la scrittura, e mantiene in un ambiente simbolicamente troppo vicino all’aula tradizionale. Invece così, partendo dal testo scritto, si creerà un contesto diverso e, spero, si favorisce una riflessione più profonda. Profonda ma non per questo pallosa, come appunto dimostrano le cose che avete scritto. Come vedi nel file allegato, hoi preparato un collage. Direi che il 5 possiamo lavorare a partire da questa traccia. Prima però leggi tu e guarda se c’è qualcosa che è opportuno eliminare, che appare oscuro, ecc.
Vedo due alternative: o si manda prima. Oppure si distribuisce il testo stampato, una copia per uno, all’inizio della giornata. Forse propenderei per la seconda alternativa, ma non ho abbastanza elementi, dimmi tu.”

Il 5 dicembre, ognuno ha trovato sul tavolo della sala riunioni la sua copia del testo.
Ne copio qui il corsivo iniziale, scritto da me a modo di Introduzione, e i titoli dei paragrafi.

QUALCHE TRACCIA DI QUELLO CHE PENSIAMO
Mi sembra che le parole che avete scritto siano molto sincere, utili per stimolare riflessioni, sofferte, segnate dalla fatica di quest’anno, ma allo stesso tempo anche serene, allegre e ricche di speranza.
Non ho fatto altro che estrarre frasi e organizzarle in paragrafi, in modo spero non troppo arbitrario.
Emerge, mi pare, il fatto che scrivete bene, in modo sincero ed efficace. Non una astratta ‘bella scrittura’, come pretendevano certi insegnanti a scuola. Una scrittura bella perché onesta, spontanea, usata per parlare di ciò che si è veramente vissuto, per parlare di ciò che si è sperato e di ciò che ci ha fatto incazzare. Non dico questo come gratuito complimento, lo dico perché qualcuno di voi si è giustificato senza motivo della sua ‘povera’ scrittura. E lo dico sopratutto perché credo, come anche scrive qualcuno di voi, che scrivere serva per ragionare su di sé e sul mondo, per cogliere in modo più preciso le situazioni, per fare chiarezza. Spero che il risultato vi ripaghi dalla fatica di aver dovuto, oltre a tutte le altre cose da fare, anche scrivere.
Più nel merito, come vedrete leggendo -ma del resto credo lo sapeste già-, emerge dalle vostre parole una significativa consonanza di vedute su molti aspetti.
Credo che queste pagine costituiscano un lavoro utile di per sé, utile a dare senso all’anno che avete vissuto, forse troppo di corsa. E poi spero che servano come traccia al lavoro del 5 dicembre. Anch’io non so di preciso cosa faremo. Ma farò il possibile perché sia tempo ben speso.

Francesco Varanini

Scrittura

L’avverbio mancante

Progetto

Paolo (e Francesca)

Il gruppo

Motivazione

Etica

Riflessioni

Cosa non va

Il lavoro del formatore

Vita privata/Vita di lavoro

Di cosa parlare il 5 dicembre

Senza che la cosa fosse stata strettamente programmata, ognuno ha letto in silenzio quelle pagine. E’ seguito ancora qualche momento di silenzio.
Ciò che era stato già detto con astio era ridetto lì, in parole ferme ma pacate. Ciò che era stato taciuto, occultato, lì, in quel testo frutto del contributo di tutti, era detto a chiare lettere.
Poi qualcuno ha cominciato a commentare. Il conflitto, fondato su una contrapposizioni di punti di vista e di opinioni e di convinzioni, si è sciolto di fronte ad un testo che ognuno doveva riconoscere come proprio, ma che allo stesso tempo, con uguale attenzione, presentava anche il punto di vista opposto.
Si è ammesso il peso della solitudine, della fatica, della paura di non farcela. Anche dell’invidia. Perché in quel testo, scritto dalle persone stesse, questo c’era scritto.
Si è arrivati insieme ad assumersi l’impegno di prendere in considerazione il punto di vista dell’altro: spogliato dalla sua forma aggressiva, il punto di vista dell’altro appariva accettabile. E anche, via via, si è tolto il velo dell’anonimato: diversi membri del gruppo hanno voluto, senza che questo fosse richiesto, esplicitare, assumendosi l’onere di dire: ‘questo l’ho scritto io’.
I membri del gruppo sono usciti dall’incontro convinti di aver vissuto un punto di svolta.