Un nuovo baule delle storie. Storie Coop nell’anno dell’Expo


Ho raccontato qui come è nato il Baule delle storie Coop. Presso la Scuola Coop c’è ancora il baule, un vero baule, simbolico ricordo del progetto che prosegue. La vita, personale e di lavoro, continua. Altre storie si accumulano. Nel 2015 è stata pubblicata una nuova raccolta: Il baule delle storie. Storie Coop nell’anno dell’Expo

Di seguito potete leggere il mio testo, posto come postfazione al termine del volume.

Cosa avete scritto
Cosa avete scritto? Quali storie avete di scelto di raccontare?
Entrai di martedì, ricordo ancora il primo giorno di lavoro, ricordo com’ero vestita. Memorie di cassiere di provincia, trentacinque anni alla cassa. La cassa alla quale si preferisce lavorare, perché lì c’è più fresco, o più caldo, ma anche perché di lì passano più clienti, ed è bello essere in contatto con loro.
Lo sguardo attento della cassiera è, potremmo dire, un sguardo etnografico, capace di cogliere da piccolissimi segni il carattere dei clienti, anticipando i loro comportamenti, le loro aspettative. Gli anziani non sono un target, un segmento di mercato, sono persone, vanno alla Coop anche per parlare con qualcuno. Immigrati, persone costrette sulla soglia della povertà, giovani clienti punk, furto e tolleranza.
Storie di sincera solidarietà tra colleghi. Il ricordo del capo che abbiamo avuto, grati ad i suo insegnamenti. Si rammenta con nostalgia il passato, i migliori anni, gli abiti da lavoro come simbolo di una identità. I reparti all’alba, e non finisce mica al tramonto. Piccole trasgressioni, attività sotterranee, ludiche, svolte in certi luoghi segreti, ma a tutti note, perché essere disponibili allo scherzo in fondo aiuta a lavorare bene. Amicizie che nascono, amori che sbocciano. Storie d’amore anche con clienti. Storie di conoscenza, d’amore, di lavoro: L’amore, il lavoro e la conoscenza sono le fonti della vita, dovrebbero anche governarla.
Storie dei tempi in cui il cooperativismo si affermava fiero. Orgoglio Coop. Sentirsi non solo lavoratori di una coop, ma cooperatori. Rispecchiarsi, identificarsi nel servizio che la Coop offre. Mangio solo prodotti Coop. Mio figlio è ormai grande, viene lui a comprare i prodotti in Coop.
Il cibo inteso anche per il suo valore simbolico, nutrimento per il pianeta. Energia per la vita, come recita il tema dell’Expo, ma non come discorso pomposo. Narrazione calda, invece, pomodorini felici, il pane, farina, lievito, acqua testimoni di solidarietà. E anche, perché no, dato che c’è di che andarne orgogliosi, prodotti Fior fiore, Viviverde.

La virtù del baule sta nel liberarci dall’essere ordinati, esaustivi. Si accumulano lì le cose, roba buona, roba che è bello conservare, e che potrà tornar utile prima o poi. Come appunti su un diario, o post su un blog. Il Baule delle Storie è condividere questi fogli sparsi, racconti, poesi, riflessioni, ricordi. Ne emerge una storia collettiva. Non costruita in base a un progetto, ma emersa invece per accumulazione.
Non ci sono cose più importanti di altre, cose che è indispensabile dire, né ci sono cose trascurabili, insignificanti. Ogni ricordo, ogni traccia di autobiografia, merita di essere narrato. Non c’è conoscenza senza narrazione. Le cose troppo difficili da dire in modo chiaro e definitivo, possiamo, per fortuna narrarle. La narrazione non è danneggiata dall’essere frammentaria, dal guardare solo a ciò che nel momento in cui scriviamo ci viene in mente e ci emoziona. Ogni racconto spiega gli altri, si connette in una rete, una storia collettiva.
Da un insieme di dettagli, di frammenti, anche un lettore che non conosce il mondo di cui si parla, capirà, fino a farsi un quadro complessivo. Anche un lettore che non sa nulla di Coop, sfogliando queste pagine, avrà capito il senso di identità, la cultura comune che tiene insieme chi lavora in Coop.

La mia è una storia come tante, sembra dire ognuno dei narratori. Ma ognuno aggiunge, più o meno esplicitamente: la mia storia è parte di una storia comune, ma è diversa da ogni altra, perché è la mia storia.
Improvvise, inevitabili irruzioni della narrazione della vita privata, ci parlano di questo. C’è una inseparabile fusione tra vita privata e vita di lavoro. Dignità, etica ci accompagnano sempre. Non lasciamo mica a casa il cuore quando andiamo a lavorare. Lavoro come luogo di affetti, di sincera attenzione per gli altri, ma innanzitutto lavoro come fonte di autostima, lavoro come costruzione di sé: lavorando siamo cresciuti, siamo cambiati, siamo più sicuri di noi stessi.
Ognuno di noi ha la responsabilità di prendersi cura di se stesso, di coltivare i propri talenti. C’è qualcuno che ha un ruolo diverso dal mio, magari più alto: un capo, una persona investita di autorità. Mi attendo qualcosa da lui. Ma intanto, per mio conto, da me, faccio la mia parte. Mi coltivo, mi formo, lavoro su di me. Mi assumo la responsabilità del mio progetto di vita, del mio futuro. Questo mi pare si legga nelle storie di questo Baule.

In questo processo di costruzione, di elevazione di noi stessi, la scrittura ha un ruolo importante.
Scrivere è sgarbugliare il groviglio che si ha in mente. Scrivere è compiere un passo fondamentale. Assumersi l’onere, e il piacere, di ‘dire la nostra’.
La storia della letteratura ci impone una netta distinzione: ci sono gli scrittori e ci sono i lettori. Due soggetti sociali ben distinti. Siamo stati abituati a considerarci ‘solo’ lettori. Noi lettori leggiamo il nome degli scrittori sulle copertine dei loro libri. Siamo stati educati ad attribuire a chi scrive libri autorevolezza. Siamo abituati ad attribuire valore a ciò che è scritto in un libro. Siamo stati abituati a leggere i libri indicati da professori, suggeriti da esperti, consigliati dai recensori.
Poi, diventando adulti e crescendo in consapevolezza, in autostima, impariamo a fidarci di più del nostro giudizio. Ci scegliamo i nostri libri, diamo valore al nostro fiuto, alla nostra capacità di scegliere e di giudicare.
E’ un bel passo avanti. Ma è restare, ancora, nel ruolo del lettore. Certo ognuno di noi scrive, molti di noi hanno scritto poesie, ma le tengono chiuse in un cassetto, vergognandosene un po’. C’è, in questo atteggiamento, una autocensura. L’autocensura, si sa, è più pericolosa della censura praticata da altri. Gli altri potranno essere contro di me, potranno essere poco propensi a sostenere la mia crescita. Devo quindi, a un certo punto, fare da solo. Ma se mi autocensuro, se mi chiudo nel ruolo del lettore, mi fermo lì.
Ora, leggendo le storie che avete scritto -l’ho detto qualche riga sopra- si capisce che state facendo la vostra parte, che coltivate la vostra autostima, coltivate i vostri talenti.
Vi invito quindi a riflettere sull’importanza che ha, in questo processo, la scrittura. Andare oltre l’autocensura. Si può mantenere il rispetto e l’ammirazione per i grandi autori che amiamo, senza per questo limitarsi nel ruolo del lettore. Potete dire a voi stessi: sono uno scrittore. Riconoscersi scrittori: un passaggio non da poco.
Siete scrittori, in effetti, perché state scrivendo la vostra vita, come raccontate in queste pagine. Ma siete scrittori anche perché siete autori di un libro, un libro pubblicato, che adesso avete in mano.