Fahrenheit: Perché i manager italiani non leggono?


Sono passati dieci anni, da mie precedenti partecipazioni alla trasmissione radiofonica di RAi 3 Fahrenheit, dedicata ai libri e alla lettura. Ho partecipato di nuovo il 15 ottobre 2015. Le cose non sembrano essere migliorate. Nel 2005 e nel 2006 si parlava di cosa i manager leggono. Adesso si riflette sul perché non leggono.

Questo il tema in discussione, ripreso dal sito della trasmissione, dove potete anche ascoltare l’audio.
L’editoria italiana sembra intravedere una luce in fondo al tunnel. Eppure dalla Buchmesse di Francoforte, dove ha presentato gli ultimi dati sulla lettura in Italia, il presidente dell’AIE (Associazione Italiana Editori) Federico Motta ha lanciato un’accusa alla classe dirigente italiana: “Quasi il 40% dei dirigenti italiani, politici e non, non legge: quasi tre volte in più degli altri paesi”. Come si spiega questa triste anomalia italiana? Perché nel nostro paese c’è una divaricazione così drastica tra il mondo della cultura e quello della cossi detta produzione? Cosa potrebbe dare in più ai nostri dirigenti la conoscenza di Wittgenstein o di Shakespeare? Fahrenheit lo ha chiesto a tre uomini di campo, come Francesco Varanini, manager, consulente aziendale e tempo addietro anche dirigente alla Mondadori, Sebastiano Nata, scrittore con esperienza pluriennale in una multinazionale che tratta carte di credito e Beniamino De Liguori, nipote di quell’Adriano Olivetti che per primo cercò di coniugare, attraverso l’esperienza di Comunità, la vita in fabbrica e la formazione intellettuale di dirigenti e operai.

Ho dedicato all’argomento l’Editoriale del numero 107 (ottobre 2015) di Persone & Conoscenze, la rivista che dirigo. Potete leggerlo di seguito.

Editoriale
di Francesco Varanini

Federico Motta, Presidente dell’Associazione Italiana Editori, ha presentato una ricerca alla recente Fiera di Francoforte. Con l’abituale, brutale, forse eccessiva sintesi che è loro propria i giornalisti sintetizzano: un manager italiano su due non legge nemmeno un libro all’anno.
Sono stato intervistato a questo proposito da Fahrenheit, benemerita trasmissione di Radio 3 Rai dedicata ai libri e alla lettura.
Ero già stato intervistato nella stessa trasmissione, più o meno sugli stessi argomenti, una decina di anni fa. Dico più o meno gli stessi argomenti, perché allora ci si chiedeva: è utile la letteratura per formare i manager? Cosa leggono i manager? Si dava per scontato che i manager leggessero. Ci si chiedeva cosa leggevano.
Venivo intervistato perché dall’inizio degli Anni Novanta cerco di sostenere l’importanza, per i manager, di letture umanistiche. Romanzi e poesie formano la mente, mantengono agile il pensiero. Mantegono viva quella ricchezza interiore, quella ridondanza che è la fonte della creatività, dell’innovazione, della capacità di affrontare le emergenze e di prendere decisioni in situazioni di incertezza.
Dal 1992 al 2006 ho tenuto su Sviluppo & Organizzazione la rubrica Il Principe di Condé, ogni volta un romanzo come lezione di management. Ne ho tratto tre libri: Romanzi per i manager, Leggere per lavorare bene, Il Principe di Condé. Ricordo queste cose solo per rilevare come, a quanto pare, abbiamo fatto passi indietro. Ci si interrogava a proposito dell’importanza della cultura umanistica. Credevo, e credo, utile che il manager non si limiti a leggere testi professionali – che troppo spesso si riducono a decaloghi e regolette dell’ultimo guru. Invitavo a tornare a leggere la grande letteratura. Dostoevskij, Tolstoj e Balzac.
Ma oggi a quanto pare abbiamo fatto passi indietro. Non ci si chiede cosa legge il manager. Non si invita a leggere più roba umanistica. Ci si chiede perché il manager non legge nulla.
Un manager, intervistato insieme a me l’altro giorno da da Fahrenheit, sosteneva che forse molti tra i suoi colleghi non leggono per non entrare in contraddizione con se stessi: costretti ad agire facendo cose poco piacevoli, obbligati a lavorare al servizio di indirizzi che non condividono, costretti a continui tagli dei costi e a farsi carico di licenziamenti, preferiscono smettere di pensare. Leggendo Dostoevskij e Tolstoj, o forse leggere anche un qualsiasi romanzo, un qualsiasi libro, si è spinti a pensare. Meglio evitare.
Non mi trovo d’accordo. Vale sempre la pena di pensare, perciò vale sempre la pena di leggere. Si può anche accettare la dura etica del ruolo, che impone al manager anche compiti sgradevoli. Ma l’etica, la dignità personale impone di mantenere desta la consapevolezza: anche in questo la lettura è di grande aiuto.
La lettura è fonte di costruttiva ridondanza. Leggendo -in particolar modo leggendo cose che non c’entrano nulla, di primo acchito, con il nostro lavoro- si accumulano ‘cose buone’. Non sapremo mai quando ci verrà utile quella frase, quel pensiero, quello spunto. I tempi incerti che viviamo rendono obsoleto qualsiasi Libro delle Regole. Siamo consapevoli che dovremo affrontare situazioni impreviste. Ci aiuteranno in questo la fantasia, la libertà di giudizio, la fiducia in noi stessi. Tutto questo lo si impara leggendo.
Troppo spesso accettiamo passivamente tendenze e mode che rischiano di provocare veri restringimenti cognitivi. Un esempio non trascurabile è l’abuso di presentazioni Power Point. Dico abuso perché Power Point è strumento per presentazioni: è nato per accompagnare l’oralità di un relatore. Ma poi ha sostituito il relatore. E poi ancora la presentazione, stampata su carta, ha sostituito ogni altro testo scritto circolante in azienda. La lettura di un libro è affrontare la complessità, porsi di fronte all’esigenza di sintetizzare, di non perdere il filo, magari prendendosi anche la libertà di saltare pagine e capitoli. La presentazione Power Point, invece, si impone testo ridotto all’essenziale. Ma dove sta l’essenziale? Fino a che punto è opportuno sintetizzare? Si può dire tutto tramite elenchi puntati? Nella presentazione Power Point la povertà regna sovrana. La forma -il logo dell’azienda, l’impaginazione con quella font, l’uso dei colori- rischia sempre di prevalere sul contenuto.
Stringere, ridurre all’osso. Perché, si dice, non c’è tempo da perdere. Leggere con calma è perdere tempo? Accettando questi luoghi comuni, il manager si allontana dai libri – ma di pari passo anche dall’essenza del suo compito.
Voi che state leggendo, appartenete probabilmente alla metà dei manager che legge. Ma tutti noi rischiamo di assuefarci a un andazzo. Leggere libri è l’antidoto.