Per un’informatica umanistica. Articolo apparso su Il Sole 24 ore, Nova, 30 ottobre 2016


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Trovate qui l’intera prima pagina del Sole 24 ore, inserto Nova, 30 ottobre 2016.
Ripropongo comunque qui sotto il testo dell’articolo. 

Troppi filosofi parlano di computer e di telefonini, e di Google e di Facebook avendo invece ancora in mente la tavoletta di cera, la carta, il libro. Piace loro immaginarsi nell’antica Grecia, ai tempi della Scolastica o dell’Illuminismo. Dimenticando che Aristotele e Platone, e ancora Cartesio e Leibniz, Pascal e Goethe, conoscevano bene le ‘tecnologie avanzate’ del loro tempo. A troppi filosofi, insomma, piace dire che nulla cambia: da tempi immemorabili l’uomo ha in mano un bastone, il computer non è che un bastone. Non sanno, o non vogliono sapere, che il bastone-computer è governato da un algoritmo, da un codice già scritto, e non dal braccio e dalla mente dell’uomo.
I filosofi, così lontani, non sono in grado di dialogare con informatici e computer scientist. Che a loro volta sono vittima di una formazione limitata. Le loro fonti, lungi dall’abbracciare il vasto campo del pensiero umano, considerano solo un unico filone della filosofia e della matematica. Il mondo nel quale si muovono ha un fondatore, Turing, e alcuni precursori: Russel, Frege, Hilbert: logica formale, linguaggi simbolici depurati dalle ambiguità dei linguaggi naturali, matematica fondata su assiomi che non è necessario discutere.
Abbandonato dal filosofo, l’informatico trova semmai un compagno di strada nello scienziato. Per entrambi l’uomo è una macchina. L’uomo non è che una macchina che ospita geni. Anche ciò che gli esseri umani si ostinano a chiamare cultura funziona in base allo stesso meccanismo. Non ci sarebbe dunque null’altro che informazione scritta in un codice, informazione che garantisce la propria sopravvivenza passando di macchina in macchina. Si arriva così a sostenere che ogni organismo non è che un minuscolo elemento della noosfera, la Mente Pensante alla quale ogni essere vivente appartiene. L’essere umano, a questo punto, cessa per così dire di esistere: sfuma nel post-umano.
Eppure io, essere umano, sto in questo istante pensando. Sto scrivendo qualcosa che è, sia pure in minima misura, diverso da ogni cosa già scritta. E voi state leggendo, state interpretando in un modo personale quello che io ho scritto. Saremo pure macchine, irrilevanti elementi della noosfera, ma abbiamo il diritto-dovere di vivere la nostra individualità. Se il filosofi di professione non sanno aiutarci, non ci resta che aiutarci da soli.
Per ogni essere umano è importante sapere, ed accettare, che ci troveremo a vivere in un mondo popolato da macchine autonomamente pensanti. E’ importante anche aver presente il nostro essere
sempre più ibridati con macchine: supporti di memoria, protesi, ‘ricambi’ di organi del nostro corpo. Ma resta all’uomo la possibilità di scegliere fino a che punto ibridarsi con la macchina. Resta per noi la possibilità di pensare a nostro modo: per salti logici, per intuizioni, per connessioni. Possiamo lasciare a qualche tecnico il tentativo di replicare in una macchina queste capacità. Dedicandoci intanto ad usarle, queste umane capacità. A questo ci allena la cultura umanistica. Torniamo a leggere Omero, Dante, Shakespeare, Goethe. Lì scopriamo le radici della nostra libertà e della nostra responsabilità.
Certo, vorremmo che i tecnici avessero in mente, nel mentre progettano le macchine, non solo una riduttiva letteratura tecnica, ma anche Omero e Shakespeare. In questa luce diventa importante raccontare, come in un romanzo la storia della macchina che chiamiamo computer, vista come sogno e progetto di singoli uomini: un sogno e un progetto che -come mostro nel mio libro Macchine per pensare (Guerini e Associati, 2016)- attraversano l’intero Ventesimo Secolo. Ma ancora più importante è che ognuno di noi, nel momento in cui usa il proprio computer, abbia in mente noi Omero e Shakespeare. Se restiamo disposti a sognare e a creare, sapremo allora usare come strumenti di libertà anche le macchine costruite per pensare al nostro posto.
Questa è l’informatica umanistica. Un’informatica che alla fin fine prescinde dal progetto dei tecnici, un’informatica che guarda invece alla pratica quotidiana degli esseri umani.
Basta un solo esempio: il Web, frutto di umani tentativi di conoscere. Massa incoerente di spezzoni di conoscenza. Accozzaglia di detriti. Detriti che ci appaiono sempre anche come nuovi materiali di costruzione.
Linguaggi di programmazione e database non sono in nessun modo novità. Sono solo l’estrema conseguenza del logicismo, da Frege a Turing. Il Web è novità. Il motore di ricerca è lo strumento con il quale possiamo affacciarci su questo sconfinato deposito di potenziali conoscenze.
Dobbiamo allenarci ad usare senza paura questo spazio di libertà.