Ancora a proposito di ‘Macchine per pensare’


In attesa di mettere mano alla stesura definitiva del secondo volume del Trattato di Informatica Umanistica, il lavoro di scrittura comunque procede.

C’è da tenersi vicini al lavoro impostato in Macchine per pensare, ma anche c’è da andare oltre, esplorando altri territori. Mi capita per questo di tornare a leggere le stesse pagine di Macchine per pensare -capita sempre di trovare qualcosa di nuovo e diverso in quello che si è scritto-. Mi capita anche di trovarmi a riflettere su alcuni commenti di lettori attenti.

Domenico Lipari: “Costruire ponti che, da un lato, rendano possibile l’umanizzazione della tecnica (liberandola dalle gabbie specialistiche entro cui si è rinchiusa più o meno consapevolmente); e, dall’altro, aiutino le “scienze dello spirito” a scoprire i vantaggi di un nuovo contatto con il mondo della tecnica”.

Marco Bruschi: “Varanini, in fondo, dice una cosa semplicissima: tutta la tecnologia che abbiamo intorno, potrebbe essere diversa”.

Giuseppe O. Longo: “Una visione socioculturale in cui l’uomo non sia sostituito dal computer, ma sia da esso aiutato e sorretto nella propria attività cognitiva e pratica, restando al centro della scena”.

Giuseppe Varchetta: “E’ come se l’autore ci proponesse, attraverso la sua macchina, un percorso dall’Io al Sé, dove l’Io rappresenta le istanze più razionalizzanti, all’interno di una logica dirimente e il Sé abbraccia la coscienza e il suo oltre, intriso di una logica componente, capace di tenere uniti gli opposti, con una visione globale, dilatata del reale, nutrita dall’accettazione anche del non immediatamente chiaro”.