Conoscere se stessi. Un Editoriale di ‘Persone & Conoscenze’ (132, ottobre-novembre 2018)


Questo è l’Editoriale che apre il numero 132 -ottobre-novembre 2018- di Persone & Conoscenze. Scienza e tecnica ci offrono spiegazioni e strumenti. Possiamo affidarci, più o meno passivamente. Oppure possiamo trarre spunto per meditare e conoscere sempre più pienamente noi stessi.

Spero che la nostra rivista aiuti i lettori a restare aggiornati sui argomenti di attualità, e allo stesso tempo sappia mettere in guardia contro mode e luoghi comuni.
Le neuroscienze, tema ampiamente trattato in questo numero, presentano proprio questo doppio aspetto: costituiscono un tema imprescindibile ed al contempo un tema sul quale ci si limita troppo spesso a comode e pericolose generalizzazioni.
Viviamo in tempi in cui serrate campagne di comunicazione cantano i gloriosi risultati ottenuti da tecnici dediti a insegnare a macchine digitali come apprendere e come pensare. Ma conosciamo davvero i nostri processi cognitivi? Chi si occupa oggi di Machine Learning ha bisogno di saperlo, perché tutti i tentativi di costruire macchine intelligenti si fondano sull’imitazione e sulla simulazione dell’intelligenza umana. Così, chi si occupa di Machine Learning è fermamente convinto che esistano tre, tre soli, ben definite, modalità di apprendimento. L’apprendimento rinforzato, l’apprendimento supervisionato e l’apprendimento non supervisionato. In base a questa ferrea convinzione i tecnici istruiscono le macchine.
Ora però, non credo che nessun serio formatore accetterebbe questa riduzione. I processi di apprendimento di noi esseri umani sono ben più complessi, articolati, sottili, sfuggenti e multiformi.
Ragionano a questo proposito due esperti formatori. Piero Trupia, nella sua rubrica. E Ugo Morelli nel suo articolo.
Trupia ci ricorda che il pensiero computazionale, il pensiero di cui sono capaci le macchine digitali, è fondato su algoritmi: procedimenti che consentono, a partire da un determinato inizio, di raggiungere un risultato tramite un numero finito di passi eseguiti secondo un insieme finito di regole esplicite. Alcuni problemi, nota Trupia, sono algoritmici. Ma gli umani modi del conoscere e del fare esperienza non si riducono certo a questo.”La mente è inventiva: si interroga sul non spiegabile”, “formulando ipotesi” scommette su una possibile interpretazione dell’ignoto. Contrappone quindi due modelli di formazione. “Esiste un modello di riferimento della formazione riduzionista, la Scuola dei marine, e di una volontarista, quella dei guerriglieri”. “Il marine è una macchina da guerra” che, in fondo, applica un algoritmo: risponde con un calcolo già programmato ad ogni situazione. “Il guerrigliero è uno stratega”. I guerriglieri scoprono durante l’azione le mosse più appropriate – o meno sbagliate.
Ugo Morelli, infatti, guarda alla formazione come un’arte. “Il rigore e la passione, insieme con il dialogo, fanno l’apprendimento”. E fonde con grande efficacia l’attento ascolto di ciò che la scienza ha saputo scoprire con un profondo atteggiamento umanistico. Ci invita quindi a rifiutare quell’approccio -che per semplicità possiamo chiamare cartesiano- per cui “la mente o lo spirito separati dal corpo sarebbero stati il ‘motore’ del tutto, da cui il resto dipende”. Dove quindi “il corpo sarebbe stato un accessorio e in certi casi anche una specie di appendice imbarazzante e scomoda”.
Morelli ci invita invece a ricordare come la stessa scienza mostra che “la nostra mente è ineluttabilmente incarnata”, e “che tra mente e corpo non c’è scissione”.
Si innesta qui l’accoglienza di “una delle più importanti scoperte per comprendere cosa significhi essere umani: i neuroni specchio. I neuroni a specchio dovrebbe diventare un riferimento per chi lavora nella formazione, perché ci mostrano alla prima constatazione: mente e corpo sono connessi, se ne aggiunge una seconda: “la mente è situata nella relazione con gli altri”. “Il tutto” non si esaurisce “all’interno del singolo individuo”. “Ogni mente non basta a se stessa per autofondarsi e governare il corpo”.
Non viene per questo sminuita la sfera personale: “siamo naturalmente propensi a risuonare con gli altri, ma questo meccanismo di risonanza è esposto alla modulazione che ci deriva dall’esperienza che noi abbiamo tratto in prima persona dal nostro incontro con gli altri”.
Le neuroscienze finiscono dunque per confermarci che “lavorare a fare formazione nelle organizzazioni e a sostenere apprendimenti per dirigere persone e gruppi vuol dire vivere immersi in fitte reti di relazioni”.
Benvenuto dunque il Machine Learning, ed ogni simile tentativo di modellizzare, simulare ed imitare tramite algoritmi il comportamento umano. Questi tentativi non ci interessano più di tanto in sé, ma sono benvenuti, perché ci spingono, per differenza, ad approfondire la ricerca su noi stessi. Ci stimolano ad osservare noi stessi in modo più attento e più profondo. Ci stimolano a conoscerci meglio tramite la scienza e a migliorarci tramite la formazione.