Non è stato una Tsunami. Un Editoriale di ‘Persone & Conoscenze’, numero 145, maggio-giugno 2020


L’Editoriale che apre il numero di una rivista è sempre un modo di fare il punto, in una doppia chiave: cosa sta succedendo intorno a noi di questi tempi, quali argomenti scegliamo di  trattare nella rivista. Nel numero di maggio di Persone & Conoscenze si trovano articoli e servizi riguardanti temi che interessano chi opera nel mondo delle Risorse Umane come -l’Employer Branding- ma anche riflessioni su come abbiamo vissuto in questi mesi il tempo dell’epidemia; e su cosa abbiamo imparato.

Qui trovate l’Editoriale in versione pdf.

Questo numero della nostra rivista è ricco di riferimenti alle conseguenze dell’epidemia; e alle nubi che incombono sul futuro.
Si sente dire di frequente in questi giorni: “E’ stato uno tsunami”. L’uso di questa espressione si presta a qualche riflessione. La parola giapponese sta per ‘onda del porto’, onda anomala o serie di onde. Potremmo benissimo tradurre maremoto. Eppure piace usare parole straniere, parole di cui in fondo non conosciamo il significato. E’ in fondo un modo per prendere le distanze dal fenomeno, da ciò che accade, da ciò che viene tra noi; è un modo per attribuire all’evento la caratteristica di una fatalità ineluttabile, allontanando da noi ogni responsabilità, e giustificando ogni nostro errore, ogni nostra incuria.
Ci converrebbe invece ricordare che le nostre capacità si mostrano proprio nel momento dell’emergenza, quando accade qualcosa di imprevisto. Del resto la vita stessa è un rischio, ogni attività lavorativa comporta un rischio. Di fronte ad eventi catastrofali come quello che abbiamo vissuto, e stiamo ancora vivendo, l’apprendimento più importante non consiste certo nell’aver capito via meglio come far fronte a questo virus. Il prossimo virus sarà diverso, esigerà differenti cautele. La prossima catastrofe non sarà una epidemia. L’apprendimento più importante sta nell’imparare a far fronte all’emergenza, quale che sia; la lezione. Imparare a reagire in modo sempre più rapido, più preciso, più adeguato alla contingenza; imparare a far fronte all’imprevisto.
Il confinamento tra le mure domestiche -certo motivato da molte buone ragioni- non ha fatto che rinviare il momento in cui torniamo necessariamente a confrontarci in luoghi pubblici con il virus. Non possiamo dire ‘a viso aperto’, perché ognuno di noi ha il volto coperto da una mascherina. Anja Puntari, nella sua rubrica, guarda a come l’indossare questo indumento influisce sulle relazioni. “Che io sia un pescivendolo o un impiegato o un manager, dovrò riflettere su come riuscire a comunicare in modo efficace quando la indosserò. Coprendomi la bocca, viene a meno una buona parte della comunicazione non verbale: ho a disposizione solo gli occhi e la prossemica del corpo”.
Simone Ferrucci, che per lavoro ha continuato ad uscire ogni giorno di casa, ricorda la frase di un romanzo: “Milano sembrava colpita da un’inesplicabile epidemia e i rari passanti parevano dei superstiti”. E parla poi di come l’occasione porti a interrogarsi sui propri atteggiamenti, e sulla dimensione sociale del lavoro: “è un modo per capire quanto veramente siamo importanti e utili ai colleghi”. “Qualcuno magari troppo convinto della sua posizione potrebbe dover, al contrario, ridimensionare il suo ego e chi invece pensava di essere solo un ingranaggio si ritrova a capire quanto vale”.
Mauro De Martini parla della propria paure. “Paura di perdere le persone cui voglio bene, i punti saldi, le certezze”. Ma parla anche di come ha scoperto “un altro modo di lavorare”. “Ascolto in modo diverso, rispettando di più il turno di parola”. “Mentre gli altri parlano, prendo appunti e registro, così ci torno sopra. Noto cose che prima sfuggivano”.
Giovanna Gammarota nota come si sia finiti, in questa situazione, a passare più tempo lavorando. Il tempo si dilata, mentre si rischia di peredere il senso del ritmo lavoro/riposo. Lo spazio privato, la propria casa, è in qualche modo violato quando è esposto ad altri durante una connessione digitale.
Antonio Rinetti auspica che non torni tutto come prima, e che invece emerga “una nuova architettura socio economica ancor tutta da immaginare”. Francesco Perillo ricorda “la devastante riduzione dell’occupazione”. Chiara Lupi guarda alla condizione delle donne lavoratrici: “il Remote working le ha confinate in casa e, per molte, il rientro al lavoro è incerto”. Martina Galbiati, del resto, ricorda che il lavoro femminile non è penalizzato solo dalla presente situazione emergenziale, ma da una più generale condizione. “Ecco allora che l’hashtag ‘iorestoacasa’, da mantra per superare la pandemia incolumi si trasforma nella ferale condanna pronunciata dalla bocca di moltissime mamme che sono costrette a rinunciare al loro diritto al lavoro dopo la maternità”.
Spunti di riflessioni interessanti, tutti, per i lettori di Persone & Conoscenze, che si trovano ora, in quanto professionisti delle Risorse Umane, a dover trasformare l’eccezione in una nuova normalità.
C’è da vedere come rendere permanente il diritto allo smart working, c’è da far fronte a un forse inevitabile ridimensionamento degli organici, e c’è anche da vedere come usare ora la leva della formazione, sia nei contenuti che nei modi. Utile a questo proposito il parallelo proposto da Dario Arkel tra l’uso di strumenti digitali nella scuola e l’uso nella formazione aziendale.
Pur attenti alla situazione presente, non abbiamo trascurato altri argomenti. Come il tema della Storia di Copertina: l’Employer Branding. Tratta l’argomento, nell’articolo che apre questo numero, Filippo Saini.
Interessante il suo modo di avvicinare l’argomento, attraverso l’autobiografia. “Appartengo alla coda lunga della Generazione X”. “Ripenso spesso a come ottenni il mio primo lavoro”.