L’Era Digitale e le sue insidie. Gianfranco Dioguardi sulla ‘Gazzetta del Mezzogiorno’ 28 novembre 2020 a proposito delle ‘Cinque Leggi Bronzee’


Gianfranco Dioguardi, imprenditore e umanista di grande spessore, scrive sulla prima pagina della Gazzetta del Mezzogiorno, sabato 28 novembre 2020: “Rifletto sull’importante saggio Le Cinque Leggi Bronzee dell’era Digitale e perché conviene trasgredirle di Francesco Varanini (Guerini e Associati, Milano 2020), autore di raffinata intelligenza e grande cultura. E mentre rifletto ascolto le note dell’Apprendista stregone, il poema sinfonico di Paul Dukas – una composizione che rappresenta bene le problematiche affrontate nel libro.
L’essere umano, da sempre ‘apprendista stregone’ nell’innovazione, ha scatenato la magia tecnologica e oggi rischia di perderne il controllo con effetti devastanti.”
L’articolo si conclude con una citazione tratta dalle pagine finali del mio libro: “L’avvento delle macchine ci costringe a una nuova educazione, autoeducazione; ci impone di reagire, riscoprendo le nostre potenzialità, la nostra forza, il nostro coraggio, la nostra saggezza […] la singolarità umana [come] capacità di trovare in noi stessi risorse inattese.”

Qui di seguito il testo dell’articolo.

Gianfranco Dioguardi

Era digitale e le sue insidie

Rifletto sull’importante saggio Le Cinque Leggi Bronzee dell’era Digitale e perché conviene trasgredirle di Francesco Varanini (Guerini e Associati, Milano 2020), autore di raffinata intelligenza e grande cultura. E mentre rifletto ascolto le note dell’Apprendista stregone, il poema sinfonico di Paul Dukas – una composizione che rappresenta bene le problematiche affrontate nel libro.
L’essere umano, da sempre «apprendista stregone» nell’innovazione, ha scatenato la magia tecnologica e oggi rischia di perderne il controllo con effetti devastanti. Nel film disneyano Fantasia (1940) l’imprudente apprendista stregone dopo aver scatenato una inarrestabile magia viene salvato dai suoi effetti grazie al ritorno dello stregone suo maestro. Oggi chi può interpretare quella parte se non proprio l’essere umano – a patto che impari a rispettare le leggi che Varanini analizza in questo suo trattato di coinvolgente, piacevolissima anche se complessa lettura.
Nell’alba della civiltà l’uomo inventò l’«utensile» per facilitare il proprio lavoro e la «scrittura» come sostegno per la propria memoria e come mezzo per trasferire il ricordo delle proprie esperienze ad altri creando così il processo di «conoscenza».
Riguardo la lingua parlata e la scrittura, Varanini analizza il concetto di «codice» inizialmente inteso come supporto fisico su cui si scriveva (tavolette lignee o di argilla e poi cera, pergamene, carte), chiamato in seguito a rappresentare il sistema di segni di una lingua destinata a essere imposta al popolo per un più efficiente esercizio del potere da parte di chi lo governa. Nacque così una dicotomia fra chi crea il codice e lo impone e chi lo deve subire – una dicotomia destinata a trionfare proprio nell’attuale era del digitale.
L’immaginazione creativa dell’essere umano ha prodotto una formidabile evoluzione tecnica che continua ancora oggi. Da utensili semplici e complessi come abachi, astrolabi, regoli calcolatori e via dicendo, si passò a calcolatrici manuali elaborate da illuminate intelligenze (Blaise Pascal, Leibniz, Charles Babbage). Si realizzarono apparati tecnologici sempre più complessi in grado di elaborare e memorizzare autonomamente i dati loro forniti. Nascevano i primi grandi elaboratori (nel 1944 l’Eniac per l’esercito USA e nel 1951 l’Univac per uso commerciale) che hanno dato l’avvio all’era dell’elettronica. Erano apparati utilizzati solo da tecnici specializzati, ma la sempre più rapida evoluzione e le riduzioni dimensionali delle macchine determinarono la loro ampia diffusione e il trionfo del «Personal Computer». Il generalizzato utilizzo del PC innescò importanti fenomeni: la memoria, tipica facoltà dell’essere umano, e il libro che la rappresenta, sono stati di fatto spodestati dagli apparati informatici. Il rapporto operatore-macchina (computer) cessa di essere strumentale dato che il soggetto umano delega al computer il compito di elaborare e risolvere i propri problemi con risultati sicuramente esatti. Tuttavia, la certezza dei risultati può anche pericolosamente distogliere l’operatore da una costante verifica riguardo l’impostazione iniziale dei problemi e dei relativi dati di partenza. Comunque il rapporto instaurato è di vera e propria «delega tecnologica» che vede il soggetto umano trasferire al computer alcune delle proprie facoltà anche di tipo decisionale. Ecco allora che nell’ambito dei sistemi organizzativi iniziano a operare strane coppie «individuo-personal computer», mentre gli apparati tecnologici si sdoppiano definitivamente nelle loro componenti fisiche stabilmente fisse (hardware) operanti grazie ad appositi programmi variabili (software) preliminarmente immessi da tecnici specializzati.
Torna dunque di vitale importanza il concetto di algoritmo programmatorio e del relativo codice applicativo. Secondo Varanini “il codice è il linguaggio tramite il quale il tecnico parla alla macchina. Una volta caricato sulla macchina, il programma sarà eseguito dalla macchina in ogni dettaglio, senza sosta.” E dunque “Il codice digitale è la nuova Legge imposta ai cittadini.” Cosicché una élite di tecnici pone “una massa di esseri umani in sostanziali condizioni di sudditanza, di minorità” imponendo loro la regola “ragionate quanto vi pare e su quello che vi pare, ma obbedite […] questa è la situazione imposta oggi ai cittadini dagli strumenti e dalle piattaforme digitali” – cittadini ridotti a utenti di servizi digitali elargiti dagli apparati tecnologici diventati nuovi strumenti di governo. Si è sviluppata nel contempo un’altra radicale rivoluzione destinata a influenzare l’era dell’informazione e della conoscenza. Con ARPANET (1969)- la rete del Ministero della Difesa degli Stati Uniti – e poi con INTERNET – l’attuale rete di telecomunicazioni ad accesso pubblico tramite computer – nasce la posta elettronica (1971) e nel 1993 il World Wide Web (WWW), un motore di ricerca che dà accesso generalizzato a ogni fonte del sapere. Varanini tuttavia avverte che “l’algoritmo – la procedura, il sistema di regole, – in base al quale il motore di ricerca lavora è segreto, ignoto al cittadino.”
Intanto il telefono diventava mobile, quindi cellulare, smartphone cioè intelligente, uno strumento che alle funzioni tipiche di comunicazione unisce quelle proprie degli elaboratori, di Internet e di tecnologie multimediali con schermi ad alta risoluzione sensibili al tatto, in grado di caricare pagine e siti web e di dotarsi di sempre nuove funzionalità aggiuntive (le cosiddette app).
L’«autonomia digitale» acquisita dal computer diviene «autonomia mobile», frutto di una rivoluzione tecnologica e socioculturale capace di condizionare le persone nei loro comportamenti e in molte funzioni del fare e del pensare. Viene delegata la memoria, si modifica la conoscenza e l’apprendimento, si appanna la fantasia e l’immaginazione e il modo stesso di ragionare pensando.
Il rapporto di «delega tecnologica» si trasforma radicalmente con una tendenza a invertire i ruoli: il computer tende infatti a divenire delegante verso il sottomesso cittadino mentre con lo smartphone viene a crearsi una vera e propria «simbiosi» fra persona e apparato tecnologico di cui l’individuo non può più fare a meno essendo subentrata una situazione di quasi totale asservimento. L’essere umano è dunque cambiato e Varanini giustamente afferma, “l’Homo digitalis non è Sapiens” perché “Ogni macchina digitale non è uno strumento nelle mani dell’essere umano, non è un mezzo che l’essere umano può plasmare a sua misura. La macchina digitale funziona in base a un sistema di regole che l’essere umano ignora, e che è costretto ad accettare.” E dunque, “Oggi, nei tempi digitali, si tratta di liberarci dalle suggestioni che tramite macchine giungono a noi”, anche perché il futuro può riservare ancora altre gravi complicazioni dovute all’ulteriore evoluzione degli elaboratori digitali verso l’IA, l’Intelligenza Artificiale, ultima pericolosa forma di autonomia dell’evoluzione delle macchine che sta portando al loro sempre più pericoloso dominio.
Varanini individua cinque leggi che andrebbero trasgredite per contrastare la troppo estesa ed egemone autonomia dei computer e la conseguente sudditanza di gran parte del genere umano a un codice imposto da altri (prima legge), l’eccessivo apprezzamento per gli apparati digitali (seconda legge), la dicotomia fra tecnici codificatori e cittadini sudditi (terza legge), l’affidamento alle macchine del governo della società (quarta legge), e la tendenza a identificarsi con le stesse macchine atrofizzando alcune delle capacità tipiche dell’essere umano (quinta legge).
Le conclusioni alle quali perviene l’autore autorizzano un cauto ottimismo per il futuro: “Dovremo imparare a scegliere. Dovremo riscoprire in noi il senso della misura, arrivare a saper dire di no, a saper mettere un limite all’invasione delle macchine nelle nostre vite, nei nostri stessi corpi. L’avvento delle macchine ci costringe a una nuova educazione, autoeducazione; ci impone di reagire, riscoprendo le nostre potenzialità, la nostra forza, il nostro coraggio, la nostra saggezza […] la singolarità umana [come] capacità di trovare in noi stessi risorse inattese.”