Cacciatori di storie. Cercare e trovare le persone ‘giuste’. 31 marzo 2021, ore 9


I buoni progetti acquistano valore nel tempo. Le coincidenze hanno sempre un senso. il 3o marzo 2011  ha avuto luogo un incontro, organizzato da Este Edizioni, dal titolo Cacciatori di storie. Scrivevamo nella presentazione: “Per le aziende, è sempre più importante trovare le ‘persone giuste’, ma è sempre più difficile trovarle. Per le persone, è sempre più difficile presentarsi in modo efficace, ‘bucando lo schermo’. Per tutti gli attori in gioco -persone, aziende, e coloro che per professione lavorano a favorirne l’incontro- serve uno scatto, un salto di qualità. In questo ci è di aiuto riflettere sulla narrazione.
Servono narrazioni più efficaci, e serve affinare la capacità di leggere le narrazioni.”

Sono passati giusto 10 anni. il 31 marzo 2021, una nuova edizione dei Cacciatori di storie. Abbiamo scritto stavolta nella presentazione dell’incontro: Per le aziende, è sempre più importante trovare le ‘persone giuste’, ma è sempre più difficile trovarle. Per le persone, è sempre più difficile presentarsi in modo efficace, facendo risaltare ciò che non trova spazio in un curriculum standard ma che si rivela un essenziale completamento del proprio bagaglio personale. Una persona ‘è la sua storia’, per questo per tutti gli attori in gioco – persone, aziende, e coloro che per professione lavorano a favorirne l’incontro – serve uno scatto, un salto di qualità. In questo ci è di aiuto riflettere sulla narrazione. Servono narrazioni più efficaci, e serve affinare la capacità di leggere le narrazioni”.
Oggi, insomma, possiamo forse supporre che algoritmi ci aiutino nel cercare nel trovare lavoro; e nel  trovare e nello scegliere le persone più promettenti. Ma il ‘trovare lavoro’ resta sempre essenzialmente legato alla capacità di narrare e di ascoltare narrazioni.

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In apertura, racconterò qualche storia di incontro tra domanda e offerta di lavoro tratta dalla letteratura. Forse parlerò di qualcuna di queste.

Bartleby
Il mercato del lavoro, così come lo conosciamo, prende vita attorno alla metà del 1800.
La stampa, già allora, è tanto diffusa da costituire un efficace luogo di incontro di domanda ed offerta.
“In seguito a una mia inserzione, una mattina un giovane immobile comparve, immobile sulla soglia del mio ufficio, la porta essendo aperta, poiché era d’estate.” A raccontare è un avvocato di Nuova York -l’ufficio in una strada buia che è Wall Street, incamminata a divenire la culla del capitale finanziario.
“Vedo ancora quella figura: pallidamente linda, penosamente rispettabile, incurabilmente disperata!” L’avvocato è subito colpito da una “vaga sfrontatezza”, da una “nonchalance cadaverica e distinta”, ma anche dalla “decisione e sicurezza di sé”.
“Volete dirmi, Bartleby, dove siete nato?”
“Preferirei di no.”
“Volete dirmi una cosa qualsiasi sul vostro conto?”
“Preferirei di no.”
“Non mi guardava mentre parlavo, ma teneva lo sguardo fisso sul mio busto di Cicerone che, così come sedevo, mi stava proprio dietro, una spanna sopra la mia testa”.
“Qual è la vostra risposta, Bartleby? dissi dopo avere atteso qualche tempo che parlasse, mentre il suo viso rimaneva immobile, tranne un tremito quasi inavvertito della bocca pallida e sottile”.
“Per il momento preferisco non rispondere, disse.”
A nulla varranno i tentativi di dialogo dell’avvocato (“Ma quale obiezione ragionevole potete avere a parlare con me? Io vi sono amico”). Bartleby non risponderà mai.
Cosicché Bartleby, lo scrivano di Melville, ci appare l’estrema eppure esemplare figura dell’impiegato, del nostro collaboratore – figura che resta sempre misteriosa. Come avrà scelto tra le altre la nostra offerta di lavoro? Da dove viene? Sarà la persona giusta? (Herman Melville, Bartleby, lo scrivano, 1853).

Martin
Non sempre, del resto, c’è tempo per porsi  le domande che l’avvocato di Wall Street si poneve. Non c’era tempo da perdere negli Stati Uniti di quegli anni.
Gli States costituiscono ormai di gran lunga il più grande mercato unitario del mondo. Mercato, tra l’altro, di forza-lavoro: anche in virtù dell’immigrazione, la popolazione passa tra il 1870 ed il 1910 dai 39 milioni ai 92 di abitanti
La California fino alla metà del 1800, prima della corsa all’oro, era abitata da non più di diecimila persone: contadini di sangue spagnolo, indios. Ma all’inizio del ventesimo secolo, nuova frontiera del business e dell’American Way of Life, San Francisco conta già oltre 300.000 abitanti. Nell’aprile del 1906 è semidistrutta da un terremoto. Nell’arco di tre anni è completamente riedificata.
Così Martin Eden, giovane ambizioso e determinato, quasi perfetta proiezione letteraria del suo autore, Jack London, “prese il battello per San Francisco e corse all’agenzia di collocamento.”
“- Un lavoro qualsiasi, purché non si tratti di commercio, – disse egli all’agente.”
Alle sue spalle “un nuovo venuto, vestito con la ricercatezza vistosa di certi operai portati, d’istinto, all’eleganza” chiede:
“- Niente che possa andar bene, eh?
L’agente scuote negativamente il capo, ma l’altro insiste:
– Non c’è che dire, bisogna che trovi qualcuno, oggi. ”
Si volta, e vede Martin.
“- Lei cerca impiego? Che cosa sa fare?
– I lavori più faticosi; posso anche navigare, scrivere a macchina, andare a cavallo; posso fare qualunque cosa e applicarmi a tutto.
– Potrebbe andare! Io mi chiamo Dawson, Joe Dawson, e cerco un lavandaio.
– E’ troppo difficile per me. – Martin, divertito, s’immaginava in atto di ripassare la biancheria da donna. Ma siccome l’altro gli piaceva, aggiunse:
– Veramente, saprei fare il bucato grosso. Ho imparato sul mare. – Joe Dawson riflettè un momento:
– Aspetti un po’! Vediamo se c’è modo di combinare. Lei mi ascolta? – Martin fece segno di sì.
– E’una piccola lavanderia, in campagna, alle Acque Termali di Shelley – l’Hôtel, lo conosce? Due uomini pel lavoro, uno capo e l’altro dipendente. Il capo sono io. Lei non lavora per me, ma ai miei ordini. Le va?”
Dawson spiega che si tratta di “un lavoro d’inferno”. Ma Martin non si spaventa (e anzi, con un gesto significativo accarezza i suoi bicipiti rigonfi). Subito si passa alla trattativa.
“- Ecco di che si tratta: per due, lo stipendio è di 500 lire, vitto e alloggio. Io ne prendo 300, il mio aiuto 200. Ma lei è novizio; bisognerà che le insegni, e, a principio specialmente, mi toccherà lavorare più di lei. Supponiamo che lei cominci con 150 lire? In parola! appena lei si sarà impratichito, avrà 200 lire.
– Va bene! – rispose Martin porgendogli la mano, che l’altro strinse.” (Jack London, Martin Eden, 1909).

Simon
Anche in Europa, in quegli stessi anni, il collocamento funziona a pieno regime.
Come Martin a San Francisco, a Zurigo Simon, di prima mattina, sotto un sole splendente, si presenta all’ufficio di collocamento. “L’uomo che era là seduto a scrivere si alzò. L’uomo conosceva Simon molto bene ed era solito trattarlo con una specie di ironica, simpatica confidenza.
– Oh, Signor Simon! Come mai ancora da queste parti?”.
– Cerco un posto”
– Lei ha cercato ripetutamente un posto da noi, si sarebbe tentati di dire che lei cerca posti con una rapidità inquietante. L’uomo rise, ma piano, perché di una grassa risata non era capace.
– Quale è stata la sua ultima occupazione, se è lecito?
Simon rispose:
– Facevo l’infermiere, e si è visto che posseggo tutte le qualità necessarie per curare i malati. Perché si meraviglia tanto di questa affermazione?
Mi si può utilizzare, questa certezza basta ad appagare il mio orgoglio. Io voglio essere utile.”
Simon, trasparente alter-ego dell’autore Robert Walser, rifiuta il lavoro che spersonalizza e annulla: “sono diligente e laborioso quando ho da assolvere un compito, ma non sacrifico il godimento che mi dà il mondo per piacere a qualcuno”. Vuole “essere utile”, ma non per questo è disposto a sprecare “la sua voglia di fare”, le sue “brillanti capacità”, il “piacere di se stesso”. (Robert Walser, Fratelli Tanner, 1907)

Therese
Non a caso, André Gide, agli inizi degli anni trenta, commentando Volo di notte di Saint-Exupéry (1931), coglie una verità forse paradossale, ma d’une importance psycologique considérable: “la felicità dell’uomo non sta nella libertà, ma nell’accettazione di un dovere”. Potremmo dire meglio: sta nell’accettare i vincoli imposti alle aspettative individuali dal mercato del lavoro.
Ed ora Vienna, negli anni venti, un altro annuncio pubblicato sul giornale: “Studioso provvisto di biblioteca eccezionalmente vasta cerca governante conscia proprie responsabilità. Pregansi presentarsi solo persone dotate solido carattere. Gentaglia volerà per le scale. Stipendio questione secondaria”.
Autore dell’annuncia è Peter Kien, illustre studioso di lingue e culture orientali. Il suo mondo è fatto di parole scritte su carta. La sua unica, esclusiva, totalizzante fonte di sapere è la biblioteca: altissimo patrimonio di informazioni e conoscenze.
Si presenta un una ruvida e volgare governante: Therese, “donna di cortissime vedute”. Sarà la sua rovina. Perché come avrebbe potuto “una persona di quella fatta” convincersi a “trattare i libri con riguardo? Il loro vero valore non poteva capirlo, e doveva credere che lui, con la biblioteca, facesse delle speculazioni. Così era la gente! Così era la gente!”
Per la precisione Canetti più che di generica ‘gente’ parla di ‘massa’: ora il mercato del lavoro (così come quello dei consumi) è maturo, accoglie non più singoli individui, ma una massa compatta di prestatori d’opera “una tempesta muggente, un unico oceano fragoroso, nel quale ogni goccia vive e vuole la stessa cosa di tutte le altre”.
L’apparire delle masse sul mercato del lavoro, per Canetti, è anche una vicenda personale. Era un ventiduenne studente di chimica, ancora lontano dalla letteratura, quando nel 1927 alcuni operai rimasero uccisi in una sparatoria. Il Tribunale assolse gli assassini. Il governo dichiarò che si trattava di una “giusta sentenza”. “Gli operai di Vienna”, ricorda Canetti raccontando la genesi del romanzo, “che normalmente erano disciplinati, avevano fiducia nei loro capi del partito socialdemocratico e si dichiaravano soddisfatti del modo esemplare in cui esso amministrava il Comune di Vienna, agirono quel giorno senza consultare i loro capi”. “Da tutte le zone della città i lavoratori sfilarono, in cortei compatti, fino al Palazzo di Giustizia, che già per il nome incarnava ai loro occhi l’ingiustizia in sé”. (Elias Canetti, Autodafé, 1935).

Ulrich
Diverso il cinismo, l’indifferenza un po’ spregiudicata ed un po’ disincantata dell’intellettuale che gioca a mettere in discussione l’offerta di lavoro.
Ulrich, l’Uomo senza qualità (che in realtà ha troppe qualità, troppe per dedicarsi ad una precisa attività, ad un solo lavoro), è ricevuto da Paul Arnheim, “ricchissimo ebreo”, che “dettava il prezzo del carbone ed era intimo amico dell’imperatore di Germania”. “Il dottor Paul Arnheim non era soltanto un uomo ricco ma anche un uomo superiore. La sua celebrità andava al di là del fatto che egli fosse erede di industrie ramificate in tutto il mondo; nelle ore di ozio aveva scritto libri che nei circoli avanzati erano giudicati straordinari.” (Arnheim ha un preciso modello storico: Walter Rathenau, industriale e saggista di origine ebraica, Presidente del trust elettrico AEG. Rathenau crede in una organizzazione economica dove lo sviluppo della grande impresa monopolistica si sposa con l’intervento attivo dello Stato nell’economia. E intanto nei suoi saggi propugna un’organizzazione sociale comunitaria che “restituisca un’anima” al lavoro sempre più meccanizzato. Nel dopoguerra si dedicherà alla politica, sarà Ministro degli Esteri della Repubblica di Weimar e finirà assassinato -nel 1922- da un gruppo di terroristi antisemiti e nazionalisti).
“Si era allontanato dalla finestra e invitò Ulrich a sedersi.
– Lei non si arrende tanto facilmente! – soggiunse con un tono che esprimeva tanto apprezzamento quanto rammarico – Ma so bene di rappresentare per lei piuttosto un principio avverso che un avversario personale. E coloro che personalmente sono gli avversari più accaniti del capitalismo, non di rado sono in affari i suoi servitori migliori; posso in un certo senso annoverarmi anch’io fra quelli, altrimenti non mi permetterei di dirle certe cose. Gli individui assoluti e appassionati, quando hanno riconosciuto la necessità di un compromesso, sono di solito i suoi più intelligenti sostenitori. Perciò non ho nessuna intenzione di rinunciare al mio proponimento, e le offro di entrare nella mia società.
– Lei mi attribuisce dunque, senza che io capisca nulla di affari, il possesso di quell’inquietudine che tanto giova ai medesimi perché toglie loro l’aspetto troppo affaristico? – Aveva acceso la luce per congedarsi e aspettava una risposta. Con maestosa affabilità Arnheim gli posò il braccio sulla spalla, un gesto di ormai provata efficacia, e disse: – Mi scusi se ho parlato troppo, è stato l’effetto della solitudine! L’industria assume il potere, e talvolta ci si domanda che cosa ne faremo di questo potere. Non me ne voglia!.”
Ma tutta questa liturgia del potere non incanta Ulrich: c’è un qualcosa che gli suona male: “quell’associazione di anima e prezzo dei carboni, che era al tempo stesso un’opportuna dissociazione di ciò che Arnheim faceva con chiara consapevolezza da ciò che diceva e scriveva nelle sue crepuscolari intuizioni”, quell’associazione di anima e prezzo dei carboni, gli pare una frode. (Robert Musil, L’uomo senza qualità, 1930-1943).

(Brani tratti dalla rubrica che ho tenuto sulla rivista Sviluppo & Organizzazione, e quindi nel libri Romanzi per i manager, Leggere per lavorare bene, Il Principe di Condé).