Scrivere poesie è un modo per intrattenere rapporti con se stessi. Un modo per immaginare, sognare, non dimenticare. Ed anche un modo per prendere appunti rapidi durante le riunioni di lavoro. Per fissare atmosfere e situazioni emotive. Ancora, e infine, scrivere poesie è un modo per dire quello che non può altrimenti essere detto.
La poesia nasce da un profondo bisogno personale. Nasce per restare forse per sempre inedita, e nota solo all’autore. Non per questo è inutile. Non per questo deve restare nascosta.
La scrittura poetica può essere applicata a qualsiasi oggetto, dal tema più privato e personale, legato ad emozioni e affetti, all’argomento ‘di lavoro’.
Quando lavoravo come Responsabile Organizzazione presso una grande industria, spesso scrivevo poesie. Per ricordare, e per comunicare alle persone coinvolte tutto quanto non poteva essere espresso in riunioni, documenti e procedure e ordini di servizio. Versi siffatti sono raccolti in T’adoriam budget divino. Critica della ragione aziendale, Sperling & Kupfer, 1994 e in L’irresistibile ascesa del Direttore Marketing cresciuto alla scuola del largo consumo, Guerini e Associati, 2003.
La poesia, insomma, ci avvicina alla possibilità di dire ciò che altrimenti non potremmo dire. Si può quindi pensare un consapevole uso della poesia come risorsa epistemologica e come strumento di ricerca ‘etnografica’. Come faccio nella Restituzione poetica.
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