Nel 2000 è uscita, presso Marsilio, la prima raccolta derivata dalla rubrica il Principe di Condé, apparsa sulla rivista Sviluppo & Organizzazione“. Sono poi seguite altre due raccolte: Leggere per lavorare bene, Marsilio, 2007; Il Principe di Condé, Este, 2010.
Qui trovate una recensione apparsa su Panorama.
Di seguito potete leggere l’Introduzione.
In una sera d’autunno del 1991 passeggiavo per via Porpora, a Milano, insieme a Raoul C.D. Nacamulli. Conoscevo da poco Raoul, professore di Organizzazione Aziendale, direttore di “Sviluppo & Organizzazione”, probabilmente la più accreditata rivista italiana di studi organizzativi. Avevamo ragionato insieme del caso di una piccola impresa che allora dirigevo, una “organizzazione snella”, ma ora parlavo a Raoul di quest’altro mio mondo, dei miei interessi critico-letterari (in parte destinati a concretizzarsi nel Viaggio letterario in America Latina, Marsilio 1998). Gli dicevo di come in fondo i due mondi si tocchino: esistono romanzi che sono vere case histories, perfette rappresentazioni di modelli organizzativi, ed esistono autori, come per esempio Balzac, che meglio di qualsiasi sociologo hanno saputo descrivere non solo un’epoca, ma anche il funzionamento della macchina produttiva. Da giovane aveva tentato fortuna nell’editoria, cercando di avviare prima una tipografia e poi una fonderia di caratteri. Imprese disastrose, come tutte quelle nelle quali non cesserà di imbarcarsi, naufragando sempre in un mare di debiti. Ma non si arrende mai. Come i suoi personaggi, come i veri imprenditori, lo sostiene l’intima convinzione del suo genio.
Ciò che veramente lo entusiasma sono gli inventori e le invenzioni. Le nuove possibilità offerte da scienza e tecnica: “Oh, che vita straordinaria~” Una intera parte delle Illusioni perdute è dedicata alle “sofferenze di un inventore”, David Séchard, che cerca di produrre la carta direttamente a partire da fibre vegetali, anziché con gli stracci: è una rivoluzione necessaria per la diffusione di massa (lei prodotti editoriali; Balzac ci crede – e per questo riesce, in un romanzo, ad anticipare una storica innovazione.
E nessuno come Lawrence descrive la vita quotidiana e produttiva nei distretti minerari inglesi nella seconda meta dcl secolo scorso: perché Lawrence era nato proprio lì, cielo fumoso, ciminiere, cumuli di carbone. Anche Zola ci parla delle miniere, ma in termini più ideologici, e allora sono più interessanti altri suoi romanzi, meticolose descrizioni dell’affermazione della grande distribuzione nella Parigi del Secondo Impero, per esempio. E Aldo Busi ci dice praticamente tutto sulla piccola impresa padana, e Tolstoj contrappone in modo esemplare due stili di direzione, Simenon ci norta a passeggiare lentamente nelle zone segrete dell’hotel, dove l’ospite non mettera mai piede, e in un raccontino di Achille Campanile si trova una perfetta descrizione delle nuove frontiere del marketing…
Raccontavo queste cose, divagando e facendomi prendete la mano dal tema che mi stava a cuore, quando Raoul mi interrompe e mi dice che sì, questo potrebbe essere I’argomento di una rubrica dato che “Sviluppo & Organizzazione” si propone anche di aiutare i suoi lettori a cogliere nessi, a guardare ai di là dei confini angusti della disciplina. Raoul verificò l’idea presso alcuni membri del Comitato Scientifico della rivista. mi aiutò a mettere a punto il progetto, ad articolarlo in sequenze di brevi brani commentati; scelse anche il titolo: Il Principe di Condè.
La rubrica prese il via cori il numero 129 di “Sviluppo & Organizzazione”, gennaio-febbraio 1992.
Si apriva con questa Premessa: “”Si racconta che il principe di Condé dormi profondamente la notte avanti la giornata di Rocroi” Lo aspetta una dura battaiglia, ma non fatica a prendere sonno. Non solo perché era molto affaticato. Soprattutto perché “aveva già date tutte le disposizioni necessarie, e stabilito ciò che dovesse fare la mattina”.
Così inizia il Secondo capitolo dei Promessi sposi. Manzoni contrappone il principe di Condè a don Abbondio, che “invece non sapeva altro ancora se non che l’indomani sarebbe giorno di battaglia”. Mentre il Principe non tarda a prendere sonno, don Abbondio, incerto ed insicuro sul daffarsi, si appresta a vivere una notte di “consulte angosciose” , di sonno agitato. di sogni terribili.
Il principe ha una chiara idea del quadro competitivo e delle forze in campo, ha fatto le sue scelte. Don Abbondio, all’opposto, incapace di prefigurare il processo, incapace di darsi obiettivi, vive in predla all’ansia. Si vede di fronte un quadro segnato dal continuo emergere di fattori incontrollabili, di fronte ai quali non potrà far altro che approntare interventi correttivi di emergenza e tecniche dilatorie: “Quello che, per ogni verso, gli parve il meglio o il men male, fu di guadagnar tempo”.
E’ evidente che il principe di Condé e don Abbondio rappresentano due diversi, anzi opposti stili manageriali. Potrenimo anche chiederci quale è il migliore. Lo stile del Gran Condé ci appare – astrattamente – il più efficace. Qualcuno, potrebbe pero anche eccepire che la consapevolezza della propria ineguatezza che segna l’atteggiamento di don Abbondio è una forza più grande della rischiosa sicurezza del principe.
Non ci interessa qui prendere partito per l’uno o per l’altro dei modelli. Ci interessa notare che sono entrambi, a pieno titolo, esempi di gestione di situazioni complesse, stimoli utili a riflettere sui nostri comportamenti di capi, di dirigenti, di manager, in genere di persone che lavorano.
Da dove di solito prendiamo spunto ed esempio? Quali lezioni seguiamo? Siamo portati a dare importanza a libri di guru del management, di grandi consulenti, docenti universitari americani, giapponesi, più raramente europei o italiani.
Cerchiamo modelli nella fisica, nella teoria generale dei sistemi, nella cibernetica, nella sociologia, nella epistemologia. Ma trascuriamo la letteratura, che è invece così ricca di scenari socioeconomici, di sfondi che sono luoghi di lavoro, di studi di casi aziendali e anche, a voler guardare, di modelli euristici belli e fatti, pronti per l’uso: di ciò il famoso passo manzoniano non è che un piccolo esempio.
La rubrica parlerà solo di questo. Autori scelti arbitrariamente, brani selezionati in base a criteri tutti personali, perché non si tratta di proporre schemi, di indicare vie. Si vuole semplicemente, attraverso divagazioni che speriamo anche amene, offrire qualche stimolo, invitare ad allargare lo sguardo.
Ogni lettore, così come qui facciamo, potrà tornare su romanzi e racconti già letti, giocare ad applicarvi i propri strumenti professionali. Potrà abituarsi a cogliere nei propri percorsi letterari spunti in qualche modo utili a leggere le organizzazioni.
Potremo forse fare un passo ulteriore: provare a rapportarci con i sistemi organizzativi intorno ai quali – o dentro i quali – lavoriamo, allo stesso modo di come ci rapportiamo con i mondi possibili della letteratura. Con lo stesso piacere e con la stessa partecipazione con cui leggiamo un romanzo, entrare nei gioco, osservando gli attori sociali come personaggi, l’articolazione dei ruoli come struttura narrativa, l’evoluzione del sistema come sviluppo di una trama”.
Non credo che ci sia molto da aggiungere. Sono passati Otto anni. Mentre scrivo queste righe sto lavorando alla cinquantatreesima rubrica ( “Sviluppo & Organizzazione” esce con cadenza bimestrale). Sempre cercando di scegliere in base a una doppia chiave: romanzi interessanti scritti da autori dei quali sia anche bello raccontare la vita. Grandi autori e grandi romanzi, ma non necessariamente: si può trarre stimolo e insegnamento anche da un libro giallo, dalla narrativa sbrigativamente bollata come “di consumo”.
E attraverso queste opere, un viaggio: dal marketing alla gestione delle risorse umane, dallo sviluppo organizzativo alle nuove frontiere dell’informatica. Tutto può essere detto senza ricorrere a linguaggi settoriali, perché ciò che scrive oggi lo specialista era già stato raccontato ieri da un romanziere, con più profondità e con più acume e con stile più piacevole.
L’ordine dei capitoli è solo uno dei tanti possibili. Non è necessario seguirlo. I singoli paragrafi sono brevi. Possono essere letti in poco tempo, e possono anche essere presi come cose a sé stanti.
Penso anche che questo modo di leggere disordinato sia consono con il poco tempo che di solito abbiamo a disposizione; e sia coerente con abitudini che abbiamo acquisito: la nostra cultura è fatta di frammenti, come i frammenti che mettiamo in fila facendo zapping, navigando tra i programmi televisivi. In fondo anche questo libro è una raccolta di frammenti.