Perché posso dirmi formatore


Più che le autopresentazioni vincolate possibili su Linkedin, valgono le narrazioni dove si lascia spazio all’autobiografia. La serietà professionale non è messa in discussione dalla scelta dei modi con i quali, di volta in volta, si scegli di parlare di sé. Ciò che non può dirsi altrimenti, può dirsi in versi.

Posso dirmi formatore perché
a cinque anni schierati in attesa
al termine del primo trimestre
la Direttrice i capelli bianchi a crocchia
diede a tutti la sacra pagella
ma a me no, ero abusivo, ero meteco
un auditore privo di diritti

Poi mio babbo mi ritirò dal liceo
non ero all’altezza secondo lui
per concorrere da sicuro vincitore
all’alloro scolastico

Posso dirmi formatore perché mentre ancora
si spengeva la voce del presidente di commissione
che mi proclamava dottore cum laude
il relatore mi sussurrò all’orecchio
‘Non ho niente da insegnarti’, esimendosi così,
già che c’era, dall’offrirmi uno spazietto
per provare a restare all’università

E perché a ventiquattro anni comandavo un plotone di alpini
sotto il fuoco di insensati comandi
provenienti da uno di quei telefoni a manovella
mi trovai a decisioni estreme senza via di fuga

E poi supplente alle medie superiori
consegnai il registro nelle mani della classe giacché
la responsabilità è un gioco e un rischio

E poi ancora sia pure di straforo docente universitario a mia volta
colleghi professori professoravano
sfilavano i laureandi di fronte ai membri della commissione
tra cui io, per stringere la mano
mi ritrovai allora a guardare negli occhi
quel ragazzo umiliato
da ingiusta valutazione

Posso dirmi formatore perché
tre giorni di canoa su per il río Onzole, morenos
costretti nel ruolo di alfabetizzandi mi mostrarono
che sarebbe facilissimo imparare
ma scrivere e leggere non serve a nulla
con buona pace di Paulo Freire – a loro
i maschi, del mondo moderno
interessavano solo le partite di calcio alla radio
e le donne mi chiedevano insegnassi loro i quebrados perché
erano venute a sapere che questo
si studiava nella Sexta
per loro, il Master di Harvard

E poi durante il turno di notte mentre
alimentata da secchi di vernice
girava la gran macchina sputando segnature
gli operai mi insegnarono come
sabotare la produzione, nel caso
il loro senso di giustizia richiedesse il gesto

Posso dirmi formatore perché
un certo giorno dei primi Anni Ottanta, mi immersi
al colmo della meraviglia
nel fluido testo emergente
nonostante i fosfori verdi vivo
sullo schermo di un computer non più lontano Mainframe,
ma assurto a personale strumento di scrittura

E poi una notte siccome i maestri
sono lontani e spesso involontari
cosicché mi permisi di considerare mio maestro
il grande Caín – mi piace ricordarlo
stanco di scrivere
chiuso a sognare la sera in quel cinema
lì al Vedado sull’angolo della Rampa
nell’Habana anni sessanta
vagavo per la Rete in cerca di sue tracce
inciampai allora in giornalista che retorico affermava
intervistando Caín
Hay una nebulosa actual que envuelve
al mercado editorial, escritores
y editores, gustos prefabricados…
E Caín avvolto nel fumo denso del suo puro
risponde e dietro le lenti
Hay algunos libros interesantes, no crea:
El viaje literario de Francesco Varanini,
que da su merecido a la crítica más complaciente y a la vez
apuesta por la novela ocasional,
no un libro cada año con formas como fórmulas

Posso dirmi formatore perché
dopo affannata corsa nel metro giunsi
quasi puntuale di fronte al mio padrone
lui al riparo di augusta scrivania sulla quale ignaro posai
la mia penna Montblanc
e lui sovrappensiero ma non troppo
se la prese tra le dita
non poteva essere mio codesto
modesto feticcio del potere

Poi un dì fui cacciato dal paradiso dei manager
e tornai al mio primo lavoro in azienda: formatore
tornai così a quando Sergio mi insegnava a contaminare
umanesimo e socioanalisi e sapienza operaia
tornai a quando conobbi Massimo
amico, formatore per tutta la vita
Trentanni dopo Massimo vittima di fato insensato, claudicante,
già impedito nel corpo continuò fino all’estremo
l’esercizio di questa professione: formatore

E poi un giorno ormai in veste di formatore
quasi senior in una di quelle liturgiche
aule ad anfiteatro guardai per terra
e vidi e raccolsi ignota monetina
su questa imbastii la mia lezione – ma nessuno
degli ospiti seduti lassù nell’ultima fila
ad osservare il mio operato
volle credere che fosse per caso
apprezzavano certo la mia trovata, ma credono ancora
che avessi buttato io lì prima ad arte l’artefatto

Posso dirmi formatore perché
ricordo sedute di progettazione
ogni maschio formatore esponeva
come in gara aperta tra di noi
la sua fallica merce, i suoi fungibili fuochi d’artificio. Io dissi:
porto in aula la poesia, la letteratura, perché mi sento uno scrittore
Mi rispose con occhi sgranati un collega:
non dirmi che ci credi davvero.
Sì ci credo davvero.

(Scritto nel novembre 2016. Una precedente versione è pubblicata qui).

Nel 2021 viene pubblicato il mio libro che porta lo stesso titolo: Francesco Varanini, Perché posso dirmi formatore, Prefazione di Luigi Maria Sicca, Editoriale Scientifica, Collana Punto Org. Lì sta una nuova versione di questa poesia, ed una breve notizia sulla sua storia, che riporto qui di seguito.

Questa poesia, frutto di una lenta stesura, credo non ancora terminata, è stata presentata in pubblico in versioni differenti in diverse occasioni.
La poesia è stata letta, anzi recitata, lunedì 5 luglio 2004, nel corso di dell’evento teatrale organizzato dall’Aif, Associazione Italiana Formatori, Il teatro e l’azienda. Spettacolo di metodologie e applicazioni formative.1 Una versione scritta, scarsamente rispettata nel corso dello spettacolo, era stata pubblicata in data 28 giugno su Bloom.it.2
Il 9 gennaio 2014, nel corso della presentazione del libro scritto insieme a Gianluca Bocchi, Le vie della formazione,3 il mio intervento è consistito nella lettura di questa poesia. Il testo è stato pubblicato su Bloom.it l’11 gennaio 2014.4
Una versione scritta nel novembre 2016 è pubblicata sul mio sito personale, francescovaranini.com.5
Degli stessi giorni è la versione pubblicata su LinkedIn,6 punto finale, per me, di una sofferta polemica relativa alla democrazia interna dell’Associazione Italiana Formatori, della cui Delegazione Lombarda sono stato Presidente. Nell’introdurre la poesia scrivevo: “Perché possiamo dirci formatori? Se provassimo tutti a rispondere a questa domanda, terremmo viva la nostra vocazione, e ritroveremmo forse il senso del nostro stare insieme”.

1I Lunedì culturali AIF [Associazione Italiana Formatori]: Il teatro e l’azienda. Spettacolo di metodologie e applicazioni formative. Regia: Carlo Giuffra. Aiuto regia: Fabrizio Badiali. Conduzione: Emilio Rago. Organizzazione e comunicazione: Michela Cotich, Luca Bono. Preesso Aula Magna Istituto Rizzoli, Via Botticelli 19, Milano. Formatori/Attori )in ordine di apparizione): Gianni Ferrario (Grammelot), Francesco Varanini, Pierpaolo Nizzola, Raffaella Fontana, Roberta Pinzauti (Te. D.), Fernando Salvetti (Ceentro Studi Logos), Nicola Grande (SPELL, Teatro d’Impresa), Marco Ghetti (Mosaic), Angelo Viti, Fabrizio Badiali. Vedi locandina: http://www.bloom.it/teatro_azienda.pdf

2http://www.bloom.it/vara93.htm

3Gianluca Bocchi e Francesco Varanini, Le vie della formazione. Creatività, innovazione, complessità, Guerini e Associati, 2013.

4http://www.bloom.it/2014/01/perche-posso-dirmi-formatore/?p=2691

5http://www.francescovaranini.it/2016/11/perche-posso-dirmi-formatore/

6https://www.linkedin.com/pulse/perch%C3%A9-posso-dirmi-formatore-francesco-varanini/