Lavorare liquido. Oltre lo smart working. 25 marzo 2021, ore 9-13


Un nuovo evento organizzato da Este. Qui per il programma e per iscriversi.

Sembra, secondo voci insistenti, che il futuro del lavoro consista nell’applicazione di un progetto detto ‘smart working’. Si tratterebbe in sostanza di restituire ai lavoratori autonomia in cambio di un maggiore orientamento ai risultati.
La facile formula semplifica eccessivamente il quadro, mentre lascia irrisolte le più gravi questioni.
Basta citare due grandi cambiamenti in atto. Il primo: stanno mutando i criteri in base ai quali il lavoro umano viene remunerato. Si passa infatti dalla remunerazione delle ore lavorate alla remunerazione del valore generato. Ma allo stesso tempo si afferma il diritto ad un salario sociale, indipendente dal lavoro svolto dalla persona. Il secondo: lo scenario tecnologico mostra come ogni tipo di ‘lavoro umano’ può essere sostituito dal ‘lavoro’ di una macchina. Non solo: ci affacciamo su un futuro nel quale macchine lavoreranno autonomamente, autoregolandosi in modo del tutto indipendente dall’uomo.
Serve quindi tornare a ricordare che il ‘lavoro’ è, per noi donne e uomini, una imprescindibile parte costitutiva della nostra vita: piacere, manifestazione di sé, fonte di relazioni sociali, costruzione del mondo.

Aprirò il lavori parlando di Lavoro senza luogo e senza tempo
Il ‘lavoro’ si presenta in modo nuovo nel tempo in cui viviamo. Tempo che possiamo chiamare ‘Era Digitale’. Parlare di ‘era’ è pertinente. Osserviamo grandi discontinuità rispetto al passato. Dobbiamo oggi concepire una remunerazione senza lavoro: redditi di cittadinanza o simili appannaggi; ed anche un lavoro senza remunerazione, perché se il lavoro è per l’essere umano una occupazione fruttuosa del proprio tempo, sono ‘lavoro’ anche le attività che svolgiamo nel tempo libero. Siamo ancora lontani dal valutare le conseguenze, piscologiche, sociologiche e organizzative, del lavoro a distanza, e della tendenziale scomparsa del ‘posto di lavoro’. Nè possiamo dimenticare che la presenza sulla scena di macchine, robot, algoritmi in grado di lavorare al posto degli esseri umani, sostituendoli in toto, impone di aggiungere sempre, quando parliamo di lavoro di noi esseri umani, l’aggettivo: ‘lavoro umano.
Vediamo così da un lato la tendenza all’affermarsi di rapporti di lavoro temporanei, legati ad un singolo progetto o ad una sigola commessa. Ma vediamo anche da un altro lato emergere la possibilità, e la necessità, di nuovi patti. Patti ‘per il lavoro umano’.