Recensione di Giuseppe Varchetta a ‘Le parole del manager’


Trascrivo qui il testo della recensione di Giuseppe Varchetta -apparsa su For -rivista per la formazione- del mio libro Le parole del manager. 108 voci per capire l’impresa, Guerini e Associati, 2006.

Viviamo stagioni di sgomento. Per molte ragioni: l´accumularsi di eventi dolorosi, tanto imprevedibili quanto puntuali nella loro ritmata ricorrenza; la consapevolezza di possedere quadri cognitivi e corredi emozionali inadeguati a contenere tale esplosività. L´onda di un mondo imprevedibile invade quotidianamente anche l´esperienza organizzativa e il management responsabile si muove freneticamente dentro un tempo di lavoro sempre più dilatato, sempre più povero di riferimenti sicuri e di sense making affidabili. A ben riflettere infatti le ultime autorevoli interpretazioni del sistema azienda sono ferme da anni alle analisi del Normann più recenti e alle visioni di Ghoshal e Bartlett; nella gestione delle risorse umane il grande movimento delle competenze sembra aver esaurito la propria spinta innovatrice, maltrattato da incapacità diffuse a coglierne i necessari aspetti localistici connessi a singole realtà organizzative pur all´interno di un grande progetto collettivo.

Si avvertono in giro domande di conforto di fronte a un vuoto di direzione e forse mai come ai nostri giorni, la caduta di senso si accompagna a una crescente domanda di senso.

I manuali, i dizionari professionali sono strumenti di conforto: registrano infatti lo stato paradigmatico di uno specifico sapere, quello stadio in cui si riscontra tra gli addetti ai lavori, tra gli studiosi, condivisione di regole, di termini, di modelli, e nel quale la ricerca è saldamente ancorata ai risultati acquisiti, punti fermi esposti appunto in “manuali”.

Ogni strumento di conforto – nel nostro caso il manuale – sostituisce, rassicurando, parzialmente la nostra capacità riflessiva, attraverso la quale giungiamo alla consapevolezza di noi stessi come inevitabili presenze nel mondo concepito come costruzione e compito quotidiano. Non è questo il caso della ricerca di Francesco Varanini, che si muove per molti aspetti nella direzione opposta, decostruendo e obbligando il lettore ad attraversare territori ambigui, verso i quali l´autore “apre e non chiude” e propone itinerari capaci di condurre allo stupore, ad uno stadio frequentemente pre-paradigmatico.

Un esempio: alla voce cliente l´autore accosta la parola inglese customer. “Il latino cliens … è un plebeo che si mette sotto la protezione di un patrizio chiamato patronus. In cambio della protezione il cliens offre servigi, mantiene un atteggiamento ossequioso … retaggio di questa storia, clientelare e clientelismo descrivono ancora oggi un atteggiamento di soggezione di subordinazione; e una relazione che prescinde dal riconoscimento dei reciproci reali meriti”.

Customer rimanda ad altro: “Ben diverso il senso di customer: dal 1400 sta per `customary purchaser´. Custom, attraverso l´antico francese custume … deriva … dal latino costumen, volgarizzazione del più classico consuetudo: appunto `consuetudine´, `usanza´. Identico il senso, in italiano e in francese, di abitudine (habitude): del latino habitus (`aspetto esteriore´, `caratteristica´), a sua volta da habere (`avere´, `possedere´)”

E così, mentre “il `cliente´, dunque, accetta di restare in una posizione subordinata, customer è invece chi scegliere di relazionarsi con una, e con un´altra, azienda. Nel suo atteggiamento non c´è dipendenza, ma solo `habitual practice´, frutto di una scelta consapevole e responsabile”.

Siamo di fronte come lettori non, in altre parole, a una semplice definizione che, per quanto ricca e problematicamente aperta, riconduca a un significato largamente condiviso e nella quale le inquietudini di possibili ossimori si stemperino. Siamo di fronte invece con le pagine di Varanini a un´autentica ricerca mossa dalla “momentanea curiosità, dalla immediata contingenza, dal desiderio … di capire meglio quello che stavo facendo”.

Il lavoro, l´organizzazione, il management sono nella prospettiva di Varanini degni di uno scarto, che li possa togliere dalla fredda manualistica, zeppa di produzioni, di best way, di rassicuranti formule. Sono il lavoro e l´organizzazione invenzioni delle donne e degli uomini come altri mondi ma, da sempre, per ragioni inconfessabili, condannati ad appartenere al lato prescrittivo, riducente, totalizzante della nostra mente. Varanini aiuta lo scarto e invita a seguirlo, a scoprire – e vengo ad un´altra parola, ad un secondo esempio – che se nell´universo del tempo “in italiano, francese, spagnolo, catalano, portoghese si sia affermato lo stesso termine per riferirsi alla `durata e alla successione dei fatti´ (time) e allo `stato dell´atmosfera´ (weather) non sembra privo di significato. E´ in fondo un modo per prendere le distanze da un uso troppo `razionale´ del tempo: se i fatti sono soggetti a variabili incontrollabili, allora è inutile eccedere in controllo, darsi la pena di programmare ogni fase del tempo a venire”.

Vadano il lettore e la lettrice capaci di stupirsi al primo capoverso dell´introduzione scritta dallo stesso autore: incontreranno ghiaie che cozzano, tizzoni, pietre, gomitoli, capanne di frasche, tavoli coperti di panno grezzo, un mondo arcaico e insieme contemporaneo, la scrittura rotta di un autore, che sa andare oltre “il diabolico linguaggio specialistico” e restituire al lavoro e all´esperienza organizzativa quei tremori che le nostre anime colpevolmente hanno troppo spesso regalato solo al nostro “altro tempo”.

“Navigando” in queste pagine di Varanini si è aiutati ad approdare dal disincanto all´incanto, generando in noi un qualche estraneamento, che ci ponga responsabilmente di fronte alla circostanza che l´esperienza organizzativa è immanente alla nostra, personale autoriflessione. Nei confronti di questa ipotesi il riflettere individualmente sulle parole, su quelle che pensiamo del tutto note, su quelle antiche e fin troppo solenni, si può rivelare un passaggio rilevante. Questo l´invito ultimo, denso di una personale responsabilizzazione, che ci viene da questo piccolo, prezioso nuovo compagno.

Terrò il libretto bianco e rosso di Varanini sempre nella borsa, vicino al mio nero moleskine, sicuro che tra i due ci sarà un laborioso, trafficato travaso.

G. Varchetta