Venerdì 3 luglio, a Udine, nella Via della Narrazione che porta verso la piazza centrale della Festa, racconterò, dalle 17 alle di 18, di un accesso alla conoscenza per tutti praticabile.
Dante intitolava Convivio, una sua opera incompiuta, scritta negli anni dell’esilio, tra il 1304 e il 1307.
Dante ha in mente una manifestazione specialmente importante del ‘vivere insieme’: il ‘mangiare insieme’, condividendo il cibo. Il Convivio è ‘banchetto di sapienza’.
Alla mensa sono seduti i veri sapienti. Ma ciò che più ci importa è il fatto che Dante si immagina ai piedi della mensa dei veri sapienti, dalla quale raccoglie le briciole. Le briciole, al di là del loro aspetto frammentario, costituiscono ricchezza accessibile per tutti. Dante, allo scopo di rivolgersi a tutti, scrive in volgare, la lingua quotidiana. ‘Traduce’ in questa lingua il ricco sapere.
Dante apparecchia così, nel Convivio, un banchetto metaforico, dove le vivande servite agli ospiti sono conoscenze degne di essere condivise. Gli ospiti siamo tutti noi.
Non a caso l’opera è scritta in volgare: nessun latino, nessun linguaggio tecnico dovrà rendere gratuitamente difficile e pomposo lo scambio di conoscenze.
La ‘beata mensa dei sapienti’ è aperta a tutti.
Possiamo leggere il Convivio come una metafora: oggi il Web garantisce ad ognuno un accesso alla conoscenza. Certo, accediamo solo a briciole, manca una scolastica organizzazione del sapere. Sta a noi abituarci a muoversi in questo sterminato universo di briciole, fiduciosi della nostra capacità di costruire senso.
Durante la mia narrazione, artisti offriranno supporti materiali per espandere le parole in altri sensi.
Grazie ai sensi e all’arte potrà “farsi cosa” una narrazione recitata da protagonisti che saranno decontestualizzati dal loro luogo abituale di lavoro.
Andrea Martini, Federico Fabris, architetti, renderanno opera la narrazione.
Con vari supporti, concretizzeranno le idee della storia che l’autore racconterà. La conoscenza in festa nascerà come parola e sarà poi fissata dall’arte come una memoria.
Paolo Roiatti, gardeneer landscaper, utilizzando i gesti dell’agricoltura e della semina, si lascerà ispirare dalla narrazione e realizzerà spunti legati al mondo del verde, indagando anche il rapporto tra la città e la natura.
Andrea Ciriani, geometra, raccoglierà dagli spunti dalla narrazione dei pensieri e dei testi al servizio dei presenti.
Alcuni fotografi coglieranno i momenti salienti degli eventi in corso.
La narrazione sarà cosi contaminata da diversi “lavoratori“ che influenzeranno le idee proposte e ri-orienteranno il pubblico verso un risultato inatteso, non pre-costruito e quindi spontaneo, la cui unica regola è la continua trasformazione.
Brevi estratti dal Convivio:
“Sì come dice lo Filosofo nel principio della Prima Filosofia, tutti li uomini naturalmente
desiderano di sapere.” (I, 1, 1)
“Oh beati quelli pochi che seggiono a quella mensa dove lo pane delli angeli si manuca! e miseri quelli che colle pecore hanno comune cibo!” (I, 1, 7)
“Dentro dall’uomo possono essere due difetti e impedi[men]ti: l’uno dalla parte del corpo, l’altro dalla parte dell’anima. Dalla parte del corpo è quando le parti sono indebitamente disposte, sì che nulla ricevere può, sì come sono sordi e muti e loro simili. Dalla parte dell’anima è quando la malizia vince in essa, sì che si fa seguitatrice di viziose dilettazioni, nelle quali riceve tanto inganno che per quelle ogni cosa tiene a vile.” (I, 1, 3)
“E io adunque, che non seggio alla beata mensa, ma, fuggito della pastura del vulgo, a’ piedi di coloro che seggiono ricolgo di quello che da loro cade, e conosco la misera vita di quelli che dietro m’ho lasciati, per la dolcezza ch’io sento in quello che a poco a poco ricolgo, misericordievolemente mosso, non me dimenticando, per li miseri alcuna cosa ho riservata, la quale alli occhi loro, già è più tempo, ho dimostrata; e in ciò li ho fatti maggiormente vogliosi.” (I, 1, 10)
“Per che ora volendo loro apparecchiare, intendo fare un generale convivio di ciò ch’i’ ho loro mostrato, e di quello pane ch’è mestiere a così fatta vivanda, sanza lo quale da loro non potrebbe essere mangiata. Ed ha questo convivio di quello pane degno, co[n] tale vivanda qual io intendo indarno [non] essere ministrata.” (I, 1, 11)