Francesco Varanini, ‘Insieme facciamo Scuola. Ricerca sui vissuti e sulle opinioni dei frequentatori dell’Istituto Nazionale di Formazione delle Cooperative di Consumatori di Montelupo Fiorentino’, Scuola Coop, 2019


Il tema di questo libro mi sembra ben riassunto nella frase riportata nella quarta di copertina:
Una formazione che si limiti a rassicurare, tranquillizzare, confermare lo stato delle cose, non serve a nessuno. Il cambiamento, i possibili, necessari, miglioramenti organizzativi, e anche e soprattutto i migliori risultati di business nascono dal prender coscienza della distanza tra ciò che si fa e ciò che si potrebbe fare, tra il come siamo e il come potremmo essere. Questa distanza è, in fondo, la misura dell’energia aggiuntiva che le persone si dichiarano disposte a mettere in campo. Sono rare le aziende in cui i lavoratori mostrano tanta forza e tanta convinzione. Sono rare le narrazioni in cui questa forza è mostrata con tanta evidenza.
Ugualmente esplicito mi mare il sottotitolo: Ricerca sui vissuti e sulle opinioni dei frequentatori dell’Istituto Nazionale di Formazione delle Cooperative di Consumatori di Montelupo Fiorentino.
Per vari motivi il libro non è disponibile in libreria. Copie del libro possono però essere chieste a Scuola Coop.

Questa è l’Introduzione del libro

Introduzione
Uno dei formatori di Scuola Coop mi dice: “La prima cosa che ti chiedo è se, secondo te, da questo materiale si può trarre un libro”. “Sì”, rispondo, “il materiale è molto ricco, merita di essere conosciuto, certamente se ne può trarre un libro”.
Il materiale cui il formatore fa riferimento è il frutto di una serie di domande poste, via e-mail, dai formatori di Scuola Coop ad un gruppo di fedeli partecipanti alle attività della Scuola.
La domande e le risposte datano agli ultimi mesi del 2016. Per vari motivi, quando ci troviamo a parlare di come rendere pubbliche queste opinioni, queste parole accorate e appassionate, sono passati già sei mesi: siamo nel luglio 2017. Si prende la decisione di pubblicare un libro.
Ma passa ancora del tempo. Propongo quindi -sia per garantire un necessario aggiornamento di ciò che i frequentatori di Scuola Coop avevano scritto, sia per sondare punti critici che apparivano evidenti in quel corpus di opinioni e di vissuti- un Focus Group. L’incontro -i cui partecipanti sono scelti, stavolta, non dai formatori di Scuola Coop, ma dai membri del Comitato Didattico- nell’aprile 2018.
Il materiale sul quale ho condotto la ricerca ha raggiunto così un suo equilibrio. Prima partecipanti esemplari alle attività formative della Scuola scelte dai formatori della Scuola, poi partecipanti esemplari alle attività della Scuola indicati dal Comitato Didattico. Parte del materiale raccolto sul finire nel 2016, parte raccolto un anno e mezzo dopo. E anche due modi di raccogliere i materiali differenti, che si completano a vicenda. In un caso la scrittura, in un altro l’oralità.
Nel complesso la ricerca mostra in piena luce -cosa rarissima nelle indagini sulla Formazione- il punto di vista delle persone che stanno formando sé stesse: dà loro voce. La distanza tra la ricchezza che emerge da questi racconti, e i miseri risultati di un comune questionario di fine corso, è abissale.
La Scuola Coop di Montelupo Fiorentino, fondata nel 2000 come Consorzio da un gruppo di Cooperative di Consumatori, appare in questi materiali mirabilmente descritta: la sua storia, la sua offerta, l’ambiente ed il clima. Ma ancora più notevole appare la riflessione su sé stessi -insicurezze, timori, frustrazioni, progetti, sogni- che propongono coloro che hanno partecipato alla ricerca.
Nelle pagine che seguono i materiali, costituiti dalle parole stesse di chi ha partecipato alla ricerca, sono presentati in forma ordinata, organizzata, disposti in una sequenza narrativa. L’organizzazione è mia – ma è frutto, per quanto mi è dato di comprendere, di ciò che il materiale stesso propone e richiede.
Sono le parole stesse di chi ha risposto alla ricerca a richiedere di iniziare ricordando le emozioni e i guadagni che sono il lascito della partecipazione alle attività proposte da Scuola Coop. Sono ancora le parole di chi ha risposto a chiedere di lasciare poi spazio alla frustrazione che consegue all’osservare talvolta la distanza tra ciò di cui si è parlato a Scuola Coop e la realtà percepita quotidianamente nel lavoro. Le stesse parole guidano quindi ad affrontare temi chiave relativi alle relazioni interpersonali e alla vita nell’organizzazione, all’attenzione al cliente e al risultato economico, alle competenze necessarie alle diverse figure professionali e il ruolo dei manager .
Così osserviamo il crescere di persone che andando oltre il sentirsi bisognose di cura ed oggetto di attenzione, iniziano a sentirsi protagoniste della propria auto-formazione. E mostrano poi, sempre attraverso le loro parole, spontaneamente espresse, il crescere di una comune appartenenza: ci si riconosce l’un l’altro nelle stesse situazioni vissute; nelle stesse pratiche, nei bisogni, nelle intenzioni. Merito dei formatori di Scuola Coop è aver permesso, anzi: aver fatto sì che questo accadesse. Vediamo così emergere una comunità che si assume responsabilità e che parla di progetto.
A questo punto, si coglie nella narrazione uno scarto, uno spostamento dell’ottica. Ci si allontana dal riflettere su cosa Scuola Coop potrebbe fare di più, e meglio, per spostare concordemente il fuoco dell’attenzione sul tema che, alla fine, sta più a cuore: la cooperazione, il cooperativismo.
L’attenzione finisce per concentrarsi così attorno a questi temi, che sono al contempo relativi ai valori e agli ideali, politici e strategici, organizzativi.
Finisce così per apparire evidente che la stessa frustrazione per la distanza tra ciò che si vive e sperimenta durante il processo formativo e la dura realtà delle organizzazioni, non è che una metafora usata per riferirsi in realtà alla distanza tra i principi del cooperativismo e la loro pratica attuazione. Appaiono qui anche note di risentimento, dispetto, sdegno. Ma le stesse parole di chi ha partecipato alla ricerca spingono poi infine verso una conclusione all’insegna della fiducia, fondata sulla convinzione che la forza stessa dei principi cooperativi possa generare risposte.
Scuola Coop appare così all’inizio come un puro luogo di formazione. Ma diviene poi il luogo simbolico nel quale, si spera, le Cooperative potranno costruire il proprio futuro.
Chi sono le persone che hanno partecipato alla ricerca, quale ruolo occupano nell’organizzazione, è inutile dirlo qui. Risulterà tutto chiarissimo leggendo le loro parole. Qui ci si può limitare a dire che, quale che sia il loro loro attuale ruolo, le persone non esitano nel guardare al funzionamento complessivo dell’organizzazione e del business, alle strategie, all’etica ed ai valori. Con realismo, senso del limite, ma anche con appassionata partecipazione.
Alle mere parole di chi ha partecipato alla ricerca, da me organizzate in capitoli e paragrafi tematici, è dedicata la Prima Parte. Aggiungo solo stringate sintesi, orientate a facilitare la lettura. Sono parole che parlano da sole, e non necessitano, in realtà, di commento.
La ricchezza di ognuna delle frasi mi ha spinto a non scegliere, a non selezionare, eliminando frasi in apparenza simili. Ho scelto al contrario la ridondanza. Ogni ritorno sugli stessi argomenti aggiunge ed approfondisce il senso.
Saprà ogni lettore muoversi da solo nel testo, formulando le proprie interpretazioni.
Ma quel formatore di Scuola Coop, dopo avermi chiesto se c’era materiale per un libro, aveva aggiunto: “E poi sono curioso di vedere quello che scrivi a proposito del nostro lavoro”. L’intrinseca ricchezza dei materiali, e la loro capacità di parlare da soli, non mi esime dalla responsabilità di una mia interpretazione. Anzi, mi obbliga a tentare di avanzare lungo alcune delle piste che la ricerca indica.
Alla mia interpretazione è dedicata la Seconda Parte. Coerentemente con quanto mi impone il testo, si sviluppa in due direzioni. Formazione e Cooperazione.
Le narrazioni esposte nella Prima Parte spingono innanzitutto a cogliere le peculiarità di Scuola Coop. Impongono poi di addentrarsi in una riflessione sul significato stesso della formazione. L’importanza del clima e dell’ambiente, i confini sfumati che separano la formazione dall’autoformazione e la formazione rivolta a gruppi dalla formazione persona per persona. Si possono osservare gli atteggiamenti difensivi, che sempre accompagnano le persone, ed allo stesso tempo il loro appropriarsi del ruolo centrale, a scapito dei committenti e degli stessi formatori.
La ricerca invita poi a spostare l’attenzione sugli atteggiamenti cooperativi, e sulle strutture organizzative fondate sulla cooperazione.
Reagendo alla tendenza di adattare le organizzazioni all’ideologia utilitarista e liberista, si parla oggi diffusamente dei problemi e delle inefficienze creati da un eccesso di gerarchia, e per converso dei vantaggi di una maggiore orizzontalità, e dell’importanza -anche in termini di risultati professionali- della coesione sociale. Le opinioni dei partecipanti alla ricerca inducono a pensare che le Società Cooperative, proprio perché pensate a partire da atteggiamenti cooperativi, costituiscano la forma societaria più evoluta, e più consona ai tempi difficili che viviamo. Ma, suggeriscono le opinioni espresse nella ricerca, dovranno essere cercati, in concreto, da tutte le Cooperative insieme, modi di governare e di dirigere adeguati.
La ricerca potrà certamente interessare alla comunità dei formatori e a coloro che si occupano di sviluppo del personale. Interesserà chi studia il management e l’organizzazione. Interesserà ai manager che si interrogano a proposito di cosa pensano le persone che lavorano con loro. Interesserà i ricercatori che indagano sul senso del lavoro e sul mercato del lavoro.
Ma il libro si rivolge innanzitutto a chi crede nel valore sociale degli atteggiamenti cooperativi e nella cooperazione come scelta politica ed organizzativa.
Ciò che si legge in queste pagine spinge a pensare che così come cittadini e lavoratori divenuti cooperatori seppero affrontare le difficoltà della seconda metà del 1800, si sapranno dare risposte anche a fronte delle difficoltà del nostro momento storico.

Si tratta di una ricerca etnografica. Qui di seguito trovate il paragrafo posto in Appendice, dedicato al Metodo.

Per ‘denudarsi mentalmente’ occorre garantire un certo grado di riservatezza e poterci fidare”

Tema di questa ricerca è un evento: l’apparire di Scuola Coop nel sistema delle Cooperative di Consumatori.
“I migliori studi di ‘storia degli eventi’ [histoire ‘événementielle’]”, scrive Emmanuel Le Roy Ladurie, “sono quelli che per giudicare l’impatto di quell’evento [événement], si sforzano di ricollocarlo rigorosamente nel suo contesto, a monte e a valle, in modo da sapere se l’evento in discussione ha o non ha fatto la differenza“.1
Ci manca la prospettiva storica, lo sguardo complessivo, gli eventi sono in corso. Ma possiamo già dire che la presenza di Scuola Coop ha avuto un impatto significativo sulle Cooperative che, verso il termine del 2000, si sono consorziate per dar vita a questo Istituto di Formazione comune.
Le parole di coloro che hanno frequentato Scuola Coop parlano chiaro. Il documento parla chiaro. Il transito presso la Scuola ha cambiato le persone, e quindi ha influito sui valori, sulla cultura, sul funzionamento organizzativo.
La ‘storia degli eventi’ si ricostruisce tramite ricerche. Siccome l’evento è ‘qualcosa che accade’, qualcosa che avviene, inatteso, è impossibile definire a priori come si svolgerà la ricerca, quale sarà il suo metodo. Lo storico, come l’etnografo, non possono permettersi di cercare la perfetta rappresentazione statistica di un universo di persone in un campione. Non possono preparare questionari imponendo le loro domande. Lavorano su ‘materiali trovati’, sui documenti che la fortuna, il caso, e l’acume dello stesso ricercatore hanno permesso di reperire. Lo storico deve contentarsi dei materiali che ha la fortuna di trovare in un archivio; l’etnografo deve contentarsi di quello che riesce a capire di una cultura lontana dalla sua osservando i comportamenti quotidiani di persone di cui non conosce la lingua. I materiali resteranno sempre lacunosi e insoddisfacenti; ma non per questo si dovrà rinunciare alla ricerca. Si tratta pur sempre di ricerca sociale svolta da un essere umano che si assume responsabilità di interpretare i documenti, non del frutto del lavoro di una qualche ‘macchina scientifica’ che esegue un programma di ricerca già scritto.
Così è stato nel caso di questa ricerca. Il documento di partenza consiste nelle risposte date a sette domande poste via e-mail dai formatori di Scuola Coop ad un gruppo di fedeli partecipanti alle attività di Scuola Coop. Si trattava inizialmente di un intelligente sostituto dei questionari di fine corso che molte Scuole di Formazione usano comunemente, con scarsi risultati. Si trattava di una analisi dei bisogni e del clima. Mancava l’intenzione di considerare quel materiale il documento di base di una ricerca. E’ stata la ricchezza di quel materiale a far pensare che si potesse fondare su di esso una ricerca. Possiamo quindi anche dire che sono state le persone stesse che hanno risposto a proporre, e in buona misura a svolgere, la ricerca, perché avevano qualcosa da dire, e aspettavano solo l’occasione per dirlo.
Il metodo, dunque, emerge dalla ricerca stessa. I materiali già disponibili mostrano al ricercatore quali altri materiali potrebbero essere utili a illuminare meglio il quadro, e spingono a cercarli.
Così, invitato a valutare se quel documento iniziale potesse essere la base per una ricerca, ho proposto di completarlo con un Focus Group.
Non appare così, alla fine, nessun campione statisticamente rappresentativo di chi lavora presso le Cooperative consorziate. Appare invece un gruppo, o meglio: una comunità di persone che sono cresciute insieme frequentando le attività di Scuola Coop. Questa comunità prende la parola. Da ciò che i membri della comunità dicono, si può anche evincere la loro attuale collocazione organizzativa. Risulterà evidente leggendo che, quale che sia la collocazione delle persone che la compongono, la comunità sa esprimere opinioni precise, sa guardare ai valori, alle strategie e al business. E’ anche consapevole dei propri limiti, e chiede quindi che altri entrino a farne parte.
Come ogni ricercatore, nello ‘scoprire’ quale metodo mi è richiesto dai documenti, e dal contesto nel quale si svolge la ricerca, ho in mente qualche precedente, qualche classica ricerca del passato. Testi di letteratura sociologica e psicosociologica e etnografica e storica -scienze umane-:
Beatrice Webb, cui dobbiamo tra l’altro la prima storia del cooperativismo, scrive nella sua autobiografia che “the most hopeful form of social service was the craft of a social investigator”.2 “La più promettente forma di servizio sociale è il mestiere del ricercatore sociale”. Webb basa le sue riflessioni sul lavoro sul campo, sull’osservazione partecipante: quando non si possono somministrare questionari, si partecipa alla vita quotidiana. Ancora ragazza, sotto falso nome si reca nel Lancashire per lavorare in una impresa tessile. Poi a Londra, mentre collabora alla ricerca condotta dal cugino Charles Booth,3 imprenditore e riformatore sociale, entra nelle fabbriche, lavora come sarta.
Un altro classico studio ricco di spunti è Die Angestellten, Gli impiegati, di Siegfried Kracauer.4
Kracauer si fa vanto del proprio ‘dilettantismo’, del non seguire un metodo di ricerca preciso. Si fida della propria capacità di osservare, cogliere il senso, e raccontare. Così, osserva la Germania nel pieno della crisi, nel 1929. L’organizzazione scientifica del lavoro domina ormai la fabbrica, ma ora ha raggiunto i piani superiori: i grandi saloni occupati dai tavoli degli impiegati, le mense aziendali, i raffinati uffici dei dirigenti.
Come Beatrice Webb, Marie Jahoda ama il lavoro sul campo. E sceglie di mischiare approcci differenti: questionari, osservazione partecipante, inventario di oggetti di uso quotidiano. Con questi strumenti indaga, come Kracauer, sulle conseguenze della Grande Depressione, ma i soggetti sociali osservati sono stavolta gli operai disoccupati di un distretto tessile nei pressi di Vienna. La ricerca mostra come la disoccupazione di lunga durata non porta ad atteggiamenti rivoluzionari o di rivolta, come spesso si presume, ma ad una passiva rassegnazione.5
William Thomas, americano, e Florian Znaniecki, polacco, ricostruiscono in The Polish Peasant in Europe and America le vicende dell’emigrazione polacca negli Stati Uniti, agli albori del Ventesimo Secolo.6 Qui i ricercatori lavorano su documenti di vario tipo. Materiali trovati. Documenti che, in vario modo – anche mettendo a questo scopo inserzioni sui giornali, sono riusciti a reperire: lettere, documenti burocratici, narrazioni autobiografiche. Gli autori forniscono la loro interpretazione, ma poi espongono al lettore tutti i documenti raccolti. Il lettore è così invitato ad intendere l’interpretazione proposta dai ricercatori come una delle interpretazioni possibili. Non più valida, in linea di principio, dell’interpretazione che ogni lettore potrà proporre.
Così, ricordando il lavoro di Thomas e Znaniecki espongo al lettore quanto più possibile dei materiali sui quali ho lavorato, e separo i materiali dal mio commento. I materiali potranno apparire ridondanti, sovrabbondanti. Ma questa scelta, già a fronte di una prima lettura, mi è sembrata doverosa. Chi ha risposto all’invito dei formatori di Scuola Coop, ed ha risposto a quelle sette domande con tanta sincera disponibilità, ha mostrato grande fiducia nell’uso che sarebbe stato fatto delle loro parole. La fiducia ha poi portato i formatori di Scuola Coop a mettere nelle mie mani quei materiali. La forma in cui in cui in questo libro espongo i materiali è manifestazione di fiducia nei confronti dei lettori. I lettori sapranno fare buon uso del racconto della comunità dei frequentatori di Scuola Coop. E sapranno fare buon uso anche dei miei tentativi di interpretazione.
Il mio lavoro di interpretazione è svolto in considerazione di due ruoli. Ricercatore e formatore.
Sono un ricercatore sociale, che si è formato lavorando sul campo come antropologo in America Latina
Ricordo qui due mie precedenti ricerche, in modi diversi vicine per tema e per metodo a questa.
Ho studiato un momento di svolta della vita di due enti dediti alla formazione: Istud (Istituto di Studi Direzionali) e Probest, agenzia formativa di Ucimu (Associazione dei Costruttori Italiani di Macchine Utensili). L’evento era in quel caso un grande progetto a finanziamento europeo, al quale i due enti partecipavano insieme. Il progetto ha portato entrambi gli enti ad interrogarsi sulla propria missione, ed a cambiare la propria organizzazione. Il frutto di questa ricerca, è in qualche modo vicino a Die Angestellten di Kracauer: mi pongo nei panni di un narratore che riferisce del suo viaggio in un mondo.7
Ho condotto una ricerca sul modo in cui piccoli e medi industriali intendono e praticano l’innovazione. Il lavoro, svolto per conto del Settore Piccola Industria dell’Associazione Industriale Bresciana, è stato condotto con un metodo articolato e strutturato. Questionari semistrutturarati, formazione dei ricercatori destinati a raccogliere le interviste, registrazione delle stesse e susseguente trascrizione. Ma alla fine, come nel caso di questa ricerca, il risultato finale è consistito innanzitutto nel mostrare al lettore quanto più possibile del caldo, generoso racconto degli imprenditori. L’orientamento all’innovazione si respira nelle loro parole.8
Sono anche un formatore. Un formatore, anche, che in varie occasioni ha lavorato presso Scuola Coo
Nel lavorare sui materiali, mi sento chiamato in causa come tale. Ho scritto in diverse occasioni di come ritengo il formatore non sia, e non debba essere, un erogatore di contenuti, ma piuttosto il testimone, il garante di quella conoscenza che emerge nella rete delle menti di coloro che partecipano a un percorso formativo. C’è una rete di senso che lega tra di loro i discorsi che si fanno quando siamo insieme, un un’aula, o lavorando a un progetto comune. Si tratta di tessere la tela, dare struttura, ‘concatenare’. E’ il tema stesso che impone il suo ritmo. Il formatore è un tipo particolare di narratore. Come il rapsodo dell’Antica Grecia, più che cantore in proprio, è ‘colui che cuce il canto’.9
Questo è proprio il lavoro che ho cercato di svolgere attorno a questi testi: cucirli tra di loro, organizzarli in un’unica tela.
Avendo lavorato così, con tocco leggero, nella Prima Parte di questa restituzione, mi trovo invitato, in quanto formatore e ricercatore, terminata la stesura della Prima Parte, ad assumermi la responsabilità di un commento. Seguendo ciò che mi impone lo stesso testo presentato nella Prima Parte, la Seconda Parte si articola in due sezioni: Formazione e Cooperazione.

Tappe e tracce della ricerca

Nell’ottobre 2016 i formator di Scuola Coop hanno inviato via e-mail una lettera a 160 partecipanti alle attività della Scuola. I destinatari della lettera sono stati scelti da ognuno dei formatori: ognuno ha chiamato in causa persone appartenenti alla propria mappa relazionale, considerate come testimoni esemplari.

La lettera era così concepita:

Caro amico/a di Scuola Coop,
ti scriviamo perché siamo arrivati al nostro quindicesimo anno di età e abbiamo voglia di cominciare a pensare ai prossimi quindici.
È nel nostro modo di intendere Scuola Coop farla sentire un po’ di tutti coloro che l’hanno frequentata e ci hanno dimostrato in mille maniere diverse di volerle un po’ bene.
Per questa ragione stiamo contattando un gruppo di colleghi di tutte le organizzazioni del nostro sistema tra i quali tu.
Se hai modo e tempo ci piacerebbe se ci volessi aiutare rispondendo alle domande che trovi qua sotto.
Le tue risposte ci aiuteranno a riflettere e pensare come farci più belli – e modesti.
Ti va? Grazie!
1) A distanza di tempo da quando sei venuto a Scuola Coop come definiresti quell’esperienza? Cosa l’ha caratterizzata?
2) Se dovessi presentare Scuola Coop a un tuo collega che non ci è mai venuto, cosa diresti?
3) Ti è capitato di fare delle scelte, di prendere decisioni, di comportarti in una certa maniera pensando che stavi agendo anche sulla base di quanto avevi discusso, ragionato, vissuto a Scuola Coop? Qualche esempio?
4) Se ti capitasse di tornare cosa vorresti trovare di immutato? E cosa invece ti piacerebbe trovare come novità?
5) Come potremmo dare una continuità diversa alle nostre relazioni (se ti andasse eh…)?
6) Cos’altro ti passa per la testa rispetto a Scuola Coop?
E per finire: Scuola Coop in una parola! Quello che è o vorresti che diventasse!

Sono giunte, entro il novembre 2016, 110 risposte. Questa è la prima fonte presa in considerazione nella ricerca.
A completamento, si è svolto il 9 aprile 2018 un Focus Group, condotto da Francesco Varanini con l’assistenza di Carol Martinelli. Tre i motivi: ritornare sui temi trattati do un anno e mezzo; affiancare alla espressione veicolata dalla scrittura l’espressione orale; mutare la modalità dell’invito. All’invito a partecipare dei formatori di Scuola Coop si sostituisce qui la scelta dei partecipanti da parte dei Responsabili della formazione delle diverse Cooperative. Ogni Cooperativa è invitata a scegliere 2 partecipanti, salvo Coop Alleanza 3.0, invitata a sceglierne 4.
Il Focus Group si è svolto nel pomeriggio. La mattina è stata dedicata a un incontro guidato da Francesco Varanini, sul tema Ripensare la formazione. All’incontro sono stati invitati a partecipare, oltre a coloro che che nel pomeriggio avrebbero partecipato al Focus Group, i formatori Scuola Coop, formatori e Responsabili della formazione delle diverse Coop, membri del Comitato Didattico, altri dirigenti di Coop interessati al tema.
Il Focus Group è stato presentato come segue:
Il Focus Group è un preciso metodo adottato -in particolare nel campo delle Ricerche di Mercato- per portare alla luce l’opinione ed il punto di vista di una specifica popolazione. Si tratta di opinioni e punti di vista qualitativi (cioè non quantitativi, cioè non rilevanti a fini statistici).
Metodo: A fronte di un universo di riferimento (nel caso specifico: i partecipanti alle attività formative di Scuola Coop) si sceglie un campione rappresentativo dell’universo, cioè un gruppo di persone in numero di circa 12-15.
Il conduttore propone l’argomento, sintetizzato anche per scritto in una decina di righe. Sul tema si apre la discussione. Il conduttore indirizza la conversazione verso una sintesi. Un assistente del conduttore prende appunti. Il Focus Group può essere registrato (audio e/o video). E’ esclusa la partecipazione di osservatori o committenti (che possono semmai osservare dal vivo da un’altra stanza collegati via video).
Nel nostro caso il Focus Group ha la scopo di completare ed aggiornare la ricerca svolta nel 2016 -tramite questionario non strutturato inviato via e-mail- inviato ai partecipanti alle attività formative di Scuola Coop. Tema della ricerca: Arrivati al nostro quindicesimo anno di età abbiamo voglia di cominciare a pensare ai prossimi quindici.
Le domande del questionario erano:
(…)
Sono giunte 107 risposte. A distanza di oltre un anno, si tratta di aggiornare i risultati della ricerca, in particolare a proposito della formazione che non c’è stata, e che potrebbe esserci.
Si scelgono tra i 107 che hanno risposto al questionario i 10-15 partecipanti al Focus Group.
Argomento del Focus Group:
Abbiamo ben presente cosa ci ha dato la partecipazione alle attività formative di Scuola Coop. Cerchiamo di sintetizzate in parole chiave ciò che è stato e ciò che è, per me, per noi, Scuola Coop. Cerchiamo di dire cosa c’è di distintivo nella formazione che avete ricevuto presso Scuola Coop. Cerchiamo di dire cosa contraddistingue Scuola Coop intesa come ‘ambiente di apprendimento’.
In sintesi:
Che formazione vorreste
Che Scuola Coop vorreste
Che Coop vorreste

1Emmanuel Le Roy Ladurie. “L’histoire immobile”, Annales. Economies, sociétés, civilisations. 29ᵉ année, N. 3, 1974. pp. 673-692.

2Beatrice Webb, My Apprenticeship, Longmans, London, 1926. Chapter III.

3Charles Booth, Life and Labour of People of London, MacMillan, London, 1902-1903.

4Siegfried Kracauer, Die Angestellten. Aus dem neuesten Deutschland, Frankfurter Societäts-Druckerei, Frankfurt am Main 1930; trad. it. Gli impiegati. Un’analisi profetica della società contemporanea, Einaudi, 1971.

5Marie Jahoda; Paul Felix Lazarsfeld; Hans Zeisel, Die Arbeitslosen von Marienthal. Ein soziographischer Versuch über die Wirkungen langandauernder Arbeitslosigkeit, Verlag von S. Hirzel,1933; trad. it. (parziale) I disoccupati di Marienthal, Edizioni Lavoro 1986.

6William I. Thomas, Florian Znaniecki, The Polish Peasant in Europe and America. Monograph of an Immigrant Group, Richard G. Badger The Gorham Press, 1918-1920 (volumes I and II), 1919 (volume III) and 1920 (volumes IV and V); trad. it. (parziale) Il contadino polacco in Europa e in America, Edizioni di Comunità, 1968.

7Francesco Varanini, Developnet Lombardia: Il progetto narrato, Il Sole 24 ore, 2000.

8Francesco Varanini (con Mauro De Martini, Maurizio Lambri, Massimo Redolfi, Gianfranco Tosini), L’innovazione latente. Un campione di piccole e medie imprese bresciane si racconta, Il Sole 24 ore, 2001

9Francesco Varanini, “La formazione come arte letteraria. Ovvero la Morfosfera”, FOR. Rivista per la formazione, 100, 2012; poi in Gianluca Bocchi e Francesco Varanini, Le vie della formazione. Creatività, innovazione, complessità, Guerini e Associati, 2013.