Debbo anche segnalare una difficoltà personale. Più mi propongo di intendere il senso della computazione, più tento di seguire gli sviluppi della ricerca sull’Intelligenza Artificiale, più sono spinto ad addentrarmi in questa letteratura. Una letteratura vastissima ma ripetitiva, angusta, dove i riferimenti storici e gli inquadramenti culturali sono banditi, dove la specializzazione porta ad una segmentazione sempre più stretta del sapere. Le citazioni in calce agli articoli rimandano a poche fonti, intese come autorità scolastica. Si è costretti a muoversi all’interno di trend resi indiscutibili dalle solite parole giustificatorie: progresso, innovazione.
Se chi segue l’onda non vuole pensar troppo, anche chi parla con chi segue l’onda, cercando dialogo e confronto, rischia l’uniformazione. Si è spinti ad accettare una riduzione che sembra inesorabile: sembra inevitabile finire per adottare un lessico, per dare per scontati assiomi e presupposti. Di un percorso, si guarda solo all’ultimo miglio, e poi all’ultimo metro, all’ultimo millimetro. La critica così finisce per vanificarsi, per mancanza di alimento, di respiro.
Non è facile continuare a vedere ciò che sulla computazione insegna il pensiero non strettamente computazionale. Ma è sempre più necessario mantenere viva la consapevolezza: invece di spiegare il mondo alla luce della computazione, demistificare la computazione alla luce del mondo.
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