Macchine per pensare: un estratto


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0. L’uomo del Ventesimo Secolo, vittima della paura di non saper gestire la complessità -conflitti sociali, crisi economiche, guerre, possibilità aperte dalla scienza- finisce per immaginare se stesso sostituito da una macchina, se stesso annullato in una onnipotente macchina, capace di per sé di intelligenza. E si affanna allora a costruire questa macchina.
Ma allo stesso tempo, l’uomo considera importante restare nel proprio corpo, e coltivare la propria mente. E sogna allora, e si sforza di costruire, macchine che siano strumenti nelle sue mani, protesi del suo corpo e della sua mente.

1. Sto pensando con la finestra aperta sul mare, passano navi e barche ognuna seguendo la sua rotta. Sto pensando con l’aiuto del mio Personal Computer, una macchina maneggevole, una macchina che posso guidare abbastanza bene, facendole fare quello che voglio io.
Ho aperte sullo schermo diverse finestre: i testi -editi o inediti non importa- di autori diversi in diverse lingue, altre fonti, appunti, miei testi in fieri. Ho accesso ad ogni libro, ad ogni biblioteca, alle tracce di precedenti tentativi di costruire senso esperiti da altri uomini. Posso entrare in colloquio via e-mail o via Skype con ogni altro essere vivente, ogni altro pensatore, barbaro o ortodosso.

Dobbiamo chiederci come usiamo le potenzialità delle macchine che chiamiamo Computer. Con quale responsabilità personale e sociale. Usiamo troppo spesso queste macchine per parlare a vuoto. Per dichiararci seguaci di qualcuno. Per eseguire ciò che sta scritto in un qualche Libro delle Regole.
Ma si tratta di macchine politiche, macchine per essere cittadini in un modo più pieno. Macchine per conoscere e per pensare. Macchine per alzare lo sguardo, per essere, più pienamente, uomini.

2. Non sono solo rose e fiori. L’uomo, incapace di rispettare sé stesso e ogni altro uomo, incapace di rispettare la natura, si è affidato alle macchine. Ci riduciamo a conoscere il mondo attraverso dati, simulacri delle cose che la macchina informatica ci restituisce, povere ombre.

Sull’altare della calcolabilità, lungo la via stretta che l’informatica offre per accedere alla conoscenza, si trascura così la parte più significativa dell’umana conoscenza, ciò che non trova precisa collocazione su scaffali già costruiti, entro griglie date a priori.
Al dato è negata la singolarità, la distinzione in base a proprie caratteristiche. Il dato esiste se, e solo se, si uniforma a un modello. Si scarta così tutto ciò che è spurio, si scarta cioè il nuovo e il diverso.
Ci riduciamo a seguire le indicazioni di macchine ordinatrici, macchine che ignorano il materiale spurio e inquietante.

Le macchine e i programmi soffrono dei pregiudizi dei tecnici, convinti della necessità del controllo. Il possibile utilizzo della macchina è limitato da capziosi suggerimenti e occultamenti. I manuali impediscono di fare esperienza. Le istruzioni per l’uso servono a dire: ‘questo non si può fare’.

La spiacevole sensazione sta nel vedere la macchina allontanarsi da noi. Vedere la roba maneggevole trasformata in strumento astruso. Si impara così a diffidare dalle macchine. Si impara a difendersi. Noi che usiamo la macchina non abbiamo modo di vedere il codice che presiede al funzionamento. Non abbiamo modo di modificarlo.
Finiamo per vivere nel fondato timore che ogni macchina sia un Cavallo di Troia: dietro la più piacevole confezione non si nascondono solo le inefficienze, i difetti, i malfunzionamenti. Si nasconde forse anche qualche occulto inganno, lo sfruttamento delle nostre conoscenze, il furto della nostra identità.

Una educazione fondata sulla sfiducia in se stessi, e sull’affidamento a una autorità esterna e superiore. Una educazione a conformarsi a regole stabilite altrove. Una educazione ad usare, tra i diversi modi di ragionare, uno solo: il calcolo. Una educazione a considerarsi non all’altezza, incapaci in fondo di essere-nel-mondo.
E’ questa educazione che porta a costruire macchine destinate a sostituire l’uomo.

C’è la macchina che -costruita a partire dalla sfiducia nell’umano fare, agire e pensare- pretende di sostituire l’uomo in ciò che l’uomo sa fare benissimo. E c’è la macchina che pone rimedio a reali limiti umani – limiti di memoria, limiti di forza fisica.
La macchina concepita in una maniera -governata da algoritmi che pretendono di incarnare il giusto modo di pensare- serve per allontanare dall’uomo dalle proprie responsabilità. La macchina concepita in un’altra maniera -macchina per prendersi cura, macchina che libera da vincoli- aiuta a stare-nel-mondo, supporta il pensiero umano; serve all’uomo per assumersi responsabilità.

3. Sappiamo, in quanto esseri umani, cosa fare con una penna e cosa con una matita e cosa con un pennello, cosa con l’inchiostro e cosa con i colori ad olio, cosa con un foglio di carta e cosa con una tela, sappiamo quando passare da uno strumento ad un altro.
La cautela sta nel ‘resistere’ alla macchina, interagendo attivamente con essa, non lasciandoci, in quanto esseri umani, dettare dalla macchina il ‘modo di essere’.

Di fronte a un qualsiasi problema, dovremmo imparare a non arrenderci mai alla comoda soluzione offerta dalle macchine. Non arrenderci a ciò che è già scritto in un algoritmo.
Di fronte alle macchine, non dobbiamo cessare di filosofare.

Narratori di science fiction e scienziati propongono la saldatura del cerchio: Dio è il Computer creatore dell’Universo. La creazione è la computazione, la computazione è la creazione.
E’ l’ultima spiaggia dell’Intelligenza Artificiale. E’ il luogo dove la scienza si fa religione. E’ la rappresentazione mitopoietica, cosmogonica, della sfiducia dell’uomo in se stesso. L’uomo dice di sé: non sono che una macchina.

Eppure, anche in presenza di diverse ottiche possibili -il punto di vista del Dio Computer, il punto di vista del robot, dell’androide, della macchina, il punto di vista della conoscenza diffusa nell’iperspazio- scelgo di continuare a guardare il mondo dal punto di vista -non importa se minoritario, limitato o magari perdente- dell’essere umano.

4. Possiamo concepire i computer come cose che fronteggiano l’uomo, separate dall’uomo, alternative all’uomo. Macchine che, prescindendo dall’uomo, eseguono un programma e si autoregolano.
Oppure, possiamo intendere i computer come macchine per l’uomo custode dell’essere; macchine per prendersi cura. Strumenti, utensili destinati ad essere usati dall’uomo, strumenti atti a potenziare il corpo e la mente dell’uomo. Macchine il cui valore sta nell’usabilità, nella maneggevolezza, nella coerenza con la natura umana.

Invece di giudicare inadeguato l’uomo, possiamo chiederci come ‘potenziare’ l’uomo, valorizzando, con strumenti adeguati, il suo modo di costruire conoscenza. Non sostituzione del modo di essere dell’uomo, ma invece sostegno, rinforzo attraverso un utensile. Con il martello possiamo svolgere attività che non potremmo svolgere a mani nude. Mente e corpo non possono né debbono essere separati.
Il computer, così inteso, è una macchina amichevolmente vicina al corpo dell’uomo, in modo da essere così anche vicina alla sua mente.
Macchina vicinissima all’uomo, progettata per accompagnare l’uomo nel fare esperienza.
Macchina che espande la capacità della nostra memoria; macchina che incrementa la nostra personale capacità di costruire nuovo senso, connettendo tra di loro oggetti di conoscenza; macchina dotata di interfacce, attrezzature periferiche destinate a interagire intimamente con i nostri sensi: tastiere, mouse, schermi.
Macchina che sta con l’uomo in una relazione affettiva. Una macchina che permette all’uomo di disporre qui ed ora, di fronte al problema, delle tracce di ogni conoscenza che potrebbe rivelarsi utile. Macchina accordata ai ritmi dell’uomo, del singolo uomo impegnato in un singolo progetto complesso.
Macchina in grado aiutare l’uomo a preoccuparsi di ciò che lo circonda. Macchina capace di contribuire allo sguardo avveduto, accorto necessario per essere presente nelle situazioni difficili. Macchina utensile, un attrezzo nelle mani dell’uomo. Una macchina non legata a un programma, all’imposizione di una regola, a un ‘modo di fare’, ma invece dotata di una potenza predisposta per adattarsi plasticamente all’umano modo di esistere. Come una scarpa vecchia si adatta a un piede.

Queste macchine cambiano in nostro modo di vivere e di pensare. Non ci resta che usarle, in modo consapevole e responsabile.

5. L’uomo esiste perché pensa. Pensare è cercare il meraviglioso; è avventurarsi dell’ignoto. Pensare è diradare l’oscurità. Ogni uomo partecipa a questa avventura.
Ciò che possiamo chiamare conoscenza è il frutto del costante ‘pensare insieme’ degli esseri umani, reso più efficace oggi dal fatto che ogni essere umano è accompagnato da una macchina per pensare.
E’ un nuovo modo di pensare, che va oltre la tradizionale filosofia, e oltre gli scaffali – tutti i modelli dei dati, le classificazioni e i file system dell’informatica.

Oggi ogni uomo può pensare da sé.
Accompagnato dal proprio Personal Computer, dal proprio tablet, dal proprio smartphone, ogni uomo fa esperienza di relazione con altri uomini e di relazioni con la massa non ordinata di tracce di conoscenze prodotte dall’uomo nel corso del tempo.
Affacciato sull’ignoto Web con l’ausilio di un motore di ricerca, scrivendo con l’ausilio di un word processor, costruendo testi multimediali, mescolando parole immagini e suoni, ogni uomo partecipa alla costruzione di una cultura sempre più lontana dalle ossessioni della metafisica greca e del moderno feticismo scientistico.

L’uomo può così pensare muovendosi in un ambito senza più resistenze, nello spazio libero.
Cercare una luce, una radura nel bosco. Salpare levando l’ancora, liberarla dal fondo marino che la serra tutt’attorno ed elevarla nello spazio libero dell’acqua e dell’aria. Questo è pensare.

Pubblico qui sul mio sito questo testo il 30 novembre 2016. Da undici mesi ascolto i commenti di lettori e partecipo a incontri sui temi del mio libro Macchine per pensare. Accettando stimoli e contesti diversi, accettando di dialogare sui temi del libro anche con persone che non l’hanno letto, o che restano comunque legate a un punto di vista lontano dal mio, ho rischiato in qualche modo di allontanarmi, io stesso, dalle mie proprie motivazioni, e dalle emozioni che ho provato scrivendo.
Propongo dunque qui questo estratto. Brani tratti da luoghi diversi del libro – non una sintesi degli argomenti sviluppati, direi, ma un ritorno al turbamento e all’eccitazione che hanno generato la scrittura.
Letto il libro lo si chiude e riappare agli occhi la copertina: il mio computer mentre sto scrivendo questo libro, la finestra aperta sul mare, in una notte di luna piena.