Dalla Sostenibilità alle metriche ESG. Una pericolosa necessità. Tre articoli tra di loro connessi


Ho scritto una serie di articoli, tra di loro connessi, che toccano un argomento che mi pare molto importante ed attuale: il necessario, ma pericoloso e difficile, transito dall’impegno etico verso la sostenibilità alla misurazione dei passi avanti verso la giustizia sociale e la salvaguardia dell’ambiente.

Un articolo su Agenda Digitale, febbraio 2022.

Un articolo su Futura Network, blog dell’omonimo progetto promosso dall’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, giugno 2022.

Un articolo su Sviluppo & Organizzazione, luglio-agosto 2022, in parte anticipato su Parole di Management.

Riassumo qui alcuni punti chiave trattati negli articoli:

Ricordiamo l’originaria definizione della sostenibilità, contenuta nel rapporto Our Common Future della World Commission on Environment and Development dell’ONU, 1987: “è sostenibile lo “sviluppo che soddisfa i bisogni della generazione attuale senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri”.

Sviluppo sostenibile significa garantire alle generazioni future spazi di libertà, operando oggi in modo che i nostri posteri, nell’immediato e nel lontano futuro, non siano costretti a portare pesi da noi scaricati sulle loro spalle. I recenti obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu, che fanno riferimento a questo tema, hanno due punti deboli: non vincolano gli Stati membri e la loro difficile declinazione in progetti concreti.

Andare verso la Sostenibilità. Chi può decidere cosa è importante per la salvezza della Terra e per ogni cittadino del pianeta di oggi e di domani? Come costruire gli indicatori? Chi ha l’autorità per farlo? Il confronto tra Amartya Sen e Martha Nussbaum a proposito di ‘capabilities’ è molto istruttivo. A prima vista, per raggiungere un risultato, la stesura di una lista di obiettivi appare necessaria e inevitabile. Allo stesso tempo però, siamo consapevoli dell’inadeguatezza insita nelle liste. Ogni elenco di cose da fare è per sua natura parziale e in fondo pericoloso, perché inevitabilmente esclude qualcosa di importante e perché rimanda non a una comunità di cittadini interessati, ma all’autorità esclusiva di chi l’ha compilato.

L’European Green Deal, approvato nel 2020, è un insieme di iniziative politiche della Commissione Ue che ha per scopo “trasformare l’Ue in una società giusta e prospera, dotata di un’economia moderna”; “proteggere, conservare e migliorare il capitale naturale dell’Ue” e, “proteggere la salute e il benessere dei cittadini dai rischi di natura ambientale”.

Il comune Bilancio di Sostenibilità è un elenco di azioni compiute, una semplice aggiunta non impegnativa al Bilancio contabile. Serve fare un passo oltre. Ogni impresa deve quindi prepararsi a redigere un Corporate Sustainability Report: atto di mandatory disclosure, documento obbligatorio e vincolante, regolato da norme di legge e sottoposto, come il bilancio, all’auditing di terze parti indipendenti.

Ma mentre la politica viaggia con i suoi lenti tempi la finanza avanza veloce. L’ONU, l’Unione Europea, gli Stati nazionali, si trovano a rincorrere decisioni già prese, e standard autonomamente imposti dalla comunità finanziaria. Essere a favore della sostenibilità significa oggi stare nel mainstream, adattarsi ad un pensiero dominante, dietro al quale si muovono enormi interessi speculativi.

Accade così che la sostenibilità sia misurata tramite indicatori, inevitabilmente arbitrari. Sono arbitrari gli Sustainable Development Goals, SDGs, indicati dall’ONU nel 2015. E ancora più arbitrari sono gli indicatori Environmental, Social, and Corporate Governance, ESG, che ogni azienda del pianeta è chiamata a seguire. Dietro gli indicatori ESG si nasconde purtroppo la pressione che le istituzioni finanziarie esercitano su investimenti e strategie di ogni azienda.

E siccome si dà per scontato che ogni azienda abbia in corso un processo di Digital Transformation, ecco “The opportunity: bridging digital and environmental goals”. La pressione esercitata su ogni azienda tramite gli indicatori ESG è una faccia della medaglia. L’altra faccia della medaglia è l’imposizione di quell’adeguamento a standard universali che passa sotto il nome di Digital Transformation.

C’è dunque un trucco. Si impone a imprenditori e manager un passaggio sottile: all’Environmental Sustainability e alla Social Sustainability si sostituisce la Sustainable Finance. Al primo passaggio ne segue un secondo, ancora più sottile: la parola Sustainability può essere messa in soffitta, e sostituita da comodo acronimo: ESG.

Tramite indicatori ESG, così, vengono imposte alle imprese strategie esterne. Strategie disinteressate al modo in cui l’impresa crea valore; ed interessate invece ad estrarre valore dalle imprese, per portare il valore nelle mani di operatori finanziari. Vincolando lo sviluppo delle imprese agli indicatori ESG, la comunità finanziaria ottiene un doppio guadagno. Impone proprie strategie alle imprese manifatturiere e fornitrici di servizi. E apre il nuovo mercato dei prodotti finanziari ESG, prodotti dei quali si sbandiera il valore aggiunto, prodotti offerti a cittadini blanditi dalla promessa di contribuire, con il proprio investimento, alla sostenibilità.