Chat GPT. Una confutazione poetica


Sono non di rado accusato di “posture tecnocritiche massimaliste”. Ma so di conoscere le nuove tecnologie di cui parlo meglio di chi critica la mia posizione. Amo le nuove tecnologie. Solo, cerco di guardarle dal punto di vista del cittadino,  e non del tecnico, e tanto meno del filosofo o del sociologo che limitano il loro sguardo e il loro raggio d’azione a terreni definiti da tecnici.

Il cittadino ha a disposizione molti linguaggi. Il linguaggio STEM è solo uno dei tanti. Di fronte all’accettazione supina del primato del linguaggio STEM serve tornare ad altri linguaggi. Uno di questi è certo la poesia.

Perciò i versi che seguono (già pubblicati sul blog Dieci chili di perle).

S’alza al cielo un commosso peana
ognuno s’accinge a ciattare con Lei!
Ogni dì frotte di teori
s’accodano a interrogar l’oracolo
s’affrettano a cercar l’autoaccecamento
Ganzissimo l’ultimo gli chiede:
Erri forse tu, oracolo?

Oh funzionari dell’aurora
corifei del digital c’avanza
mosche cocchiere di variatissima estrazione
plaudenti all’ultimo meraviglioso aggeggio

Con esso, ci dicono, condito d’algoretica,
il popolo pur affetto da terribili bias
sarà salvato. O altrimenti che importa:
ad ogni umano essere, alla natura tutta
simulacri noi chierici sostituiremo, portatori di esattezza
fedeli alla perfetta esecuzione del comando
che consiste nel ripetere il già detto

La nuvola ora si specchia nel lago
Understanding Ciat
coniò l’originale titolista
And Its Discontents risponde, per non esser dammeno
l’Influencer di fronte
Siccome l’Agency toglie ancora una volta
le castagne dal fuoco
possono serrare le fila lobby piccolette.
L’intellighenzia, risparmiato il disturbo
dello scrivere pensando
e del pensar scrivendo
non dovrà più nulla a nessuno
godrà del tempo per rimirarsi nel proprio ego

Non è nuovo il disegno
di chi esaltando le virtù del secolo nostro
e magnificando la cornucopia della tecnica:
farà della terra il Giardino delle Delizie.
Nessuna delega abbiamo dato
ad autoeletta schiera di eroi
richiamiamoli semmai nel consesso civile
nella casa comune degli umani.
Il cittadino intanto langue nella palude dell’onlife.
Ivi, spinti a creder d’esser felici
regaliamo le scie del pensar nostro
e ligi al servaggio ci affaccendiamo
alla più entusiasta propaganda dell’accrocchio
emulatore dell’umano

Finché nel Giorno del Giudizio
la Borsa decreterà il valore
delle nostre conoscenze alienate
mentre i nostri stessi risparmi
di cui remoti gestori s’appropriarono
finiranno in mano ai magnifici
inventori della Ciat
ed ai loro sodali e reggicoda.

Volano corvi, civette incombono sui rami,
vortici d’immondizia numerica ammiccanti aleggiano
e noi umani gravati da notifiche
e da incombenze imposte per via digitale
incapaci di accettare l’imperfetta bellezza nostra
alziamo il canto
Mira il tuo popolo, o bella Ciat,
che pien di giubilo oggi t’onora
Anch’io festevole corro ai tuoi pie’,
o santa macchina, parla per me

Non è che un programma
fedele all’istruzione
Ma noi ansiosi di fuga
l’eleviamo a nostro pari

L’incommensurabile esser vivo
sostituito dall’infimo avatar
La sconfinata interconnessa vastità
svilita in pauperrima collezione di dati
Il caos, il cosmo, la storia
osservati dal buco della serratura d’un algoritmo

Eppure l’umano lume
la scintilla della coscienza…
Giacché nasce dalle viscere e dal sogno il pensiero
dai gesti dagli sguardi dal dolore
Ciò che in altro non umano modo emerge
non è pensiero

Immaginiamoci vi prego disposti ancora al mistero
ospitato in sterminate biblioteche
Diamo ascolto al brusio di umane voci
che conobbero e narrarono il mondo.
Nulla aggiunge il digital accrocchio
Non esiste parola che squadri da ogni lato
che a lettere di fuoco dica il vero
non esiste la formula che il mondo possa aprirti

Né è nuovo il compito:
Di ciò che sembra, diffida
Studia sempre
Di fronte a ogni testo
ad ogni oracolare verbo
distingui, giudica, scegli, interpreta
sia pure a fatica
sii te stesso

La fragile specie nostra non è immortale
non tutto sa
ma non rinuncia a dire ‘io ci provo’
Poseremo quindi con rispettoso disincanto
l’occhio, e curioso
sulla Cosa Digitale prender sua forma
Ma il folle volo nel cupio dissolvi
in quanto umani contrasteremo
Diremo quindi:
ignava è la macchina
non ti curar troppo di lei
ma guarda e passa.

Se poi un giorno l’oracolo
propinquo o remoto, in virtù d’addestramento
scriverà versi
mai saranno i miei
storti come i rami secchi del mio pero
ma versi di Francesco

Versione 22 febbraio 2023

Nelle mie raccolte di poesie T’adoriam budget divino. Critica della ragione aziendale, e L’irresistibile ascesa del Direttore Marketing cresciuto alla scuola del largo consumo si trovano diverse poesie di argomento informatico, o diremmo meglio oggi: digitale. Qui, ad esempio, la poesia Legacy.

Devo anche aggiungere che col senno di poi la lirica che ho scritto mi appare una sintesi in versi del mio saggio: Le Cinque Leggi Bronzee dell’Era Digitale. E perché conviene trasgredirle. Spero che la forma diversa e la brevità spingano qualcuno a leggere il libro. Del resto i riferimenti a Leopardi e a Goethe, sia nel mio saggio, sia in questi versi, sono evidenti. Leopardi propone la filosofia in forma di lirica, Goethe usava la forma poetica per ribadire le tesi dei suoi articoli scientifici. Umilmente seguo la loro strada.