Echi vicini e lontani del ‘Viaje literario por América Latina’. Avventure di un libro


Sabato 28 Dicembre 2002, ore 15:18:40, ricevetti l’e-mail che ora trascrivo:

“Egregio Signore,
ho cercato il suo@ per chiedergli di cortesemente di aiutarmi per una relazione di cui Le do tutti i dettagli.
Sono il Presidente della ‘Società Dante Alighieri’ in Uruguay e attualmente sto aiutando mio marito Abelardo Garcia Viera, Direttore del “Archivo General de la Nación” ad elaborare una richiesta da inviare all’UNESCO per includere nella “Collezione di Musica Tradizionale del Mondo” una collezione completa di tutta la produzione discografica di Carlos Gardel. Per puro caso, questa mattina mio marito ha aperto il suo libro “Viaggio Letterario in America Latina”, in versione spagnola, unica copia a Montevideo, già venduta purtroppo, e prima che lo consegnassero al compratore è riuscito, sfogliandolo rapidamente, a leggere la frase: “Tratar de Gardel es tratar de una cultura….” .
Come Le sarà facile intuire è importantissimo per noi se ci potesse mandare le linee che corrispondono al “zorzal criollo”, per includere nella relazione, citandone ovviamente la fonte e il suo nome.
Le chiedo scusa se La disturbo in questi giorni di festa, ma vedrà che anche di sabato pomeriggio stiamo lavorando per poter mandare entro i primissimi giorni di gennaio la proposta ufficiale riguardante questa importante collezione privata che si trova nel paese.
Mi è molto piaciuto il sito e mi riprometto di visitarlo spesso.
Tantissimi auguri e mille ‘grazie’ anticipate.
Renata Gerone”

Il libro è, nell’edizione in lingua spagnola, Viaje literario por América Latina. Ho provato ora -28 dicembre 2017- a cercare su Google “Varanini Gardel Uruguay”. Appare come primo risultato, il sito dell’Unesco (www.unesco.org). Si può leggere in inglese, o in francese, la petizione di questi amici uruguayani. Sono citato così: “In his book Viaggio letterario in America Latina, Venezia, Marsilio, 1998, author Francesco Varanini dedicates a chapter to “Il Sorriso di Gardel”. Italian Francesco Varanini is a great admirer of South America, as he wrote himself when he gave us permission to quote his views: ‘I am not a professional writer, I do a whole range of other things but I am very interested in South America; in fact, I dream about it all the time, having worked there for a very long time as an anthropologist in Ecuador'”.

Jaume Vallcorba a Francoforte

Racconterò in altro luogo di come giunsi a pubblicare il Viaggio letterario in America Latina in italiano (Marsilio, collana Saggi, agosto 1998). Mi piace qui tornare sulle tracce dell’edizione in lingua spagnola. Allo stand di Marsilio, alla Fiera di Francoforte, nell’ottobre del 1998, nel momento della pausa pranzo, c’era una sola persona, non dirò chi. Vedendo il visitatore che incuriosito sfogliava il libro gli disse: “Questo è il miglior libro portato quest’anno alla fiera da Marsilio”. Si rivelò essere il compianto Jaume Vallcorba, professore di filologia, editore per passione e vocazione di Quaderns Crema, in catalano, e da poco anche in spagnolo, con una collana dalla raffinata cura editoriale e grafica: El Acantilado.
Il libro tardò ad uscire. Fu stampato solo nell’aprire del 2000 perché, come mi disse Vallcorba,  “ho  dovuto planchar io stesso, parola per parola la traduzione”. Planchar, alla lettera ‘stirare’.
Attilio Pentimalli Melacrino, anch’egli scomparso, argentino residente in Spagna, fu buon poeta, curatore di una importane edizione spagnola del Canzoniere di Petrarca, e traduttore di Pavese, Sciascia, Pasolini, Malerba, Arpino, di Scerbanenco e De Crescenzo, di Susanna Tamaro, Stefano Benni,  Melania Mazzucco. La Biblioteca Nacional de España registra 51 sue traduzioni. Vallcorba lo scelse a ragion veduta per tradurre il Viaggio letterario. Ma già qui si vede il destino di un libro. Il Viaggio letterario può non piacere. A Pentimalli non piacque. L’editore stesso di sua mano rimediò. E signorilmente lasciò sulla copertina il nome del traduttore.

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La benemerita casa editrice tiene ancora in catalogo il libro. Si può acquistare qui.

Il libro -anche perle buone relazioni di cui godeva Vallcorba- fu subito ben recensito. Ricordo qui El País: “Viaje literario por América Latina es un libro exagerado, de 800 páginas, en el que su autor invirtió 15 años”. Poi Rosa Mora cita qualcosa che le dissi: “Es como el hipertexto que no tiene principio ni fin. No está escrito para ser leído ordenadamente. Es un baúl que contiene muchas cosas. No todas interesarán al lector, ni tiene por qué compartir mis opiniones”. Ancora su El País Mercedes Monmany: “lo que es saludable en la obra de Varanini es la total falta de dependencias -salvo la dependencia total de si mismo” (“ciò che è salutare nell’opera di Varanini è la totale mancanza di dipendenze -salvo la dipendenza totale da se stesso”); “Un ágil y vibrante estilo de narrar y un vital fuego cruzado de literatura universal y comparada” (“un agile e vibrante stile narrativo e un vitale fuoco incrociato di letteratura universale e comparata”).  E Ricardo Bada sulla Revista de libros: “Varanini se enfrascó en la literatura latinoamericana y la ha leído creo que más y mejor que casi todos nosotros, buceando a profundidades que la crítica peninsular y vernácula jamás se atrevió” (Varanini si è calato nella letteratura ispanoamericana e l’ha letta, credo, meglio di quasi tutti noi, immergendosi a profondità alle quali la critica peninsulare e in lingua spagnola non si sono mai azzardate”). E Jesús Ferrer Solá, filologo, ispanista, professore all’Universidad de Barcelona, su La Razón: “Francesco Varanini ha conseguido una sugestiva obra. Capaz de desmitificar no solo la propia literatura estudiada, sino la función misma de la crítica literaria, dando de paso una esencial preponderancia a la lectura personal y a la solitaria y genuina opinión de cada cual” (“Francesco Varanini è riuscito in un’opera suggestiva. Capace di smitizzare non solo la letteratura studiata in sé, ma anche la funzione stessa della critica letteraria, dando così spazio preponderante alla lettura personale e alla solitaria e genuina opinione di ognuno”). E José Manuel Cabrales Arteaga, sul Diario Montañés: “He aquí un libro avasallador, torrencial, polémico y estimulante” (“ecco  qui un libro trascinante, torrenziale, polemico e stimolante”).

Roberto Bolaño e il Canone Occidentale

Delle presentazioni barcellonesi mi è rimasto nella memoria sopratutto un episodio. Un episodio del quale il senso mi si rilevò a poco a poco, nel corso degli anni. Universitat Pompeu Fabra di Barcelona, 30 maggio 2000. Se ne trova ancora traccia sul sito dell’Università. “Taula rodona sobre el llibre Viaje literario por América Latina de Francesco Varanini.. Participants: Francesco Varanini, autor del llibre; Javier Aparicio, professor del Departament d’Humanitats de la UPF i crític literari; Roberto Bolaño, escriptor xilè; i José María Micó, director de l’Institut Universitari de Cultura. Coordinador: José María Micó. Organtizat en el marc de la Càtedra UNESCO en Cultura Iberoamericana”. Ero stato rassicurato: non era necessario parlare in catalano. Arriva il momento delle domande dal pubblico, e quallcuno mi chiede: visto quello che lei ha detto, cosa ne pensa del Canone occidentale di Bloom? Sapevo a malapena chi era Harold Bloom e non avevo letto il libro. Bolaño, serissimo in volto, con poche parole secche, mi toglie dall’imbarazzo, anticipandomi: “Varanini non è d’accordo con Harold Bloom”. Allora non averi potuto dirlo, ma effettivamente non sono per nulla d’accordo con l’intento di Bloom: stabilire una volta per tutte quali sono i libri importanti, i classici da conoscere. All’opposto il Viaje literario narra di scelte soggettive, di parte: innamoramenti e rifiuti. Del resto, non avevo nemmeno letto nulla di Bolaño. Los detectives salvajes, uscito nel ’98, era il suo quinto romanzo – ma la fama era recente. Se ne stava andando via da solo, silenzioso e chiuso in se stesso quando gli chiesi l’indirizzo di posta elettronica. Me lo scarabocchiò su un pezzo di carta.  Ma non gli scrissi mai. Morì tre anni dopo.

Biblioteca Breve

Ho perso l’e-mail che ricevetti, non ricordo quando, da Basilio Baltasar Cifre, che scoprii essere un importante attore della scena editoriale spagnola. Mi pare mi scrivesse che non aveva posto attenzione alle recensioni del libro, che invece aveva scoperto per caso in libreria. Ricordo sopratutto che mi scrisse: “Se avessi conosciuto il testo, lo avrei pubblicato io da Seix Barral”. Viaje literario ha una collocazione lussuosa in Acantilado – ma in quel momento, quando lessi le parole di Baltasar, capii che il libro si era separato da me, per cercare se stesso, la propria collocazione ideale. Racconto nel Viaje literario una serie di storie intrecciate, una delle quali è sicuramente la ventura europea della letteratura ispanoamericana, negli Anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Carlos Barral, poeta ed editore barcellonese, è uno dei protagonisti di questa storia. Il premio Formentor, dà lui voluto, offre l’occasione, nel ’61, per la scoperta europea di un singolare autore, abitatore di una remota metropoli: Jorge Luis Borges. Con la parziale eccezione di Feltrinelli, nessuna casa editrice ha contribuito come Seix Barral ha contribuito alla diffusione di una generazione autori che allora apparvero in Europa così nuovi. Così è per Julio Cortázar e per Alejo Carpentier. Ma sopratutto per Mario Vargas Llosa, Carlos Fuentes, Guillermo Cabrera Infante, vincitori del premio Biblioteca Breve. Tra di loro, il mio preferito -lo si capisce bene leggendo il Viaje– è certo Cabrera Infante. Vince nel 1964 il premio con Vista de amanecer en el trópico, prima versione del romanzo che conosciamo come Tres tristes tigres.

Caín e i libri con forme come formule

Una notte cercavo sulla Rete notizie a proposito di Cabrera Infante – mi piace chiamarlo Caín, Caino, sintesi del cognome, soprannome con il quale Cabrera Infante firmava le sue critiche cinematografiche. Racconto qui di come mi imbatto in una sua intervista apparsa nel 2001 sul quotidiano colombiano El Espectador (il quotidiano di cui García Márquez fu redattore). Chiede l’intervistatore: “C’è una nebbia che avvolge il mercato editoriale, scrittori e editori, gusti prefabbricati… Cosa le interessa di quello che si pubblica attualmente?” E Caín risponde: “Ma guardi, ci sono alcuni libri interessanti”. Ne cita tre, il terzo è il mio Viaje. “El Viaje literario por América Latina, de Francesco Varanini, que da su merecido a la crítica más complaciente y a la vez apuesta por la novela ocasional, no un libro cada año con formas como fórmulas”. “Il Viaggio letterario in America Latina, di Francesco Varanini, non fa sconti alla critica più compiacente e al contempo scommette sul romanzo speciale, non un libro all’anno con forme come formule.” Caín parla del Viaje sintetizzandone l’intento con uno dei suoi tipici giochi di parole, come io non avrei mai saputo fare. Io stesso non sono altro, ormai, che un lettore del libro che ho scritto. Il libro ora parla da sé, parla di sé. E -con Caín e con El Espectador– ha varcato l’Oceano ed è arrivato nel luogo nel quale ho viaggiato, nel luogo del quale ho sognato: l’America Latina.

Santiago de Chile: Feria Internacional del Libro 2002

Non ricordo di preciso neanche quando ricevetti l’e-mail di Xavier Gómez. Ma era la primavera del 2002. Leggo ora su Linkedin che era Jefe de Departamento a Prolibro-Cámara Chilena del Libro. Tra i suoi compiti, la “coordinacíon y producción” de la Feria Internacional del Libro de Santiago. Non so come nacque la decisione, né chi vi contribuì. So solo che a scrivermi fu Xavier; e so anche che -come ebbi modo di constatare quando ci incontrammo- è un fine cultore di letteratura, oltre che di musica. Insomma, fui invitato come ospite ufficiale alle Fiera del libro di Santiago, insieme ad Alain Touraine, Fernando Savater, Lucia Pimentel, Juan Pablo Feinmann e altri.

Partecipai a diversi incontri, alcuni specificamente dedicati al mio libro. Come accade ad ogni autore, capivo senza difficoltà chi parlava del Viaje senza averne letto neanche un rigo. Ma quasi tutti si soffermavano comunque sulla parte iniziale, dedicata ad una serrata critica di una parte dell’opera di García Márquez. (Accenno qui alla mia posizione). Certo, me la sono voluta. Ho scelto io di parlare di come e perché García Márquez mi ha deluso. Ma mi sarebbe piaciuto ragionare anche di Cortázar e di Borges e di tutti gli altri autori di cui parlo. In una intervista telefonica alla colombiana Radio Caracol *(CAdena RAdial COLombiana, ma anche ‘chiocciola’) mi chiedono: “Ma perché l’ha fatto? Per diventare famoso?”. Ho cercato di dire sinceramente che critico García Márquez perché mi sento tradito da lui, come un allievo tradito da un maestro. Avrei dovuto invece dovuto evitare di rispondere e mettermi a parlare di un altro colombiano di cui scrivo, Andrés Caicedo.

Conservo invece un buon ricordo del colloquio con María Teresa Cárdenas, apparso su El Mercurio; e un ricordo meraviglioso della conversazione televisiva con Cristián Warnken. Il suo programma La belleza de pensar resta un esempio di buona televisione. Cristián sì che aveva letto sul serio il Viaje. Il colloquio si apre con l’ascolto di un tango di Gardel. E a quanto ricordo di García Márquez non abbiamo parlato.

Dedico nel Viaje un vasto capitolo allo scrittore cileno Jorge Edwards. Non lo considero un grande romanziere, ma ho fondati motivi per ritenere il suo Persona non grata opera di grande importanza, sia politica che letteraria. Di questa mia opinione ebbi modo di discutere più volte con lo stesso Edwards. che ovviamente non era d’accordo con me. E per questo, per vari anni a seguire, mi fece inviare i suoi nuovi romanzi, nel tentativo di farmi cambiare opinione. Ma non solo per questo mi capitò di frequentarlo durante la Fiera. Edwards, pur appartenendo a una delle grandi famiglie cilene, non godeva, almeno allora, di una posizione economica particolarmente florida. Era proprietario di una azienda che distribuiva in Cile la produzione di editori spagnoli privi di filiali cilene. Si deve sapere che allora -e credo ancora oggi- le spese di trasporto gravano in gran misura sul prezzo di vendita. Per cui gran parte degli editori spagnoli dispongono di una filiale che stampa i libri in America, e spesso anzi in ogni paese ispanoamericano. Questa non era la situazione del mio editore, El Acantilado, che dunque era distribuito dall’azienda di Edwards, ed ospitata alla Fiera nel suo stand.

Visitò lo stand Michelle Bachelet. Già Ministra de la Salud, aveva assunto all’inizio di quel 2002 l’incarico di Ministra de la Defensa Nacional. Era il momento della sua gran ascesa, che si sarebbe conclusa nel gennaio del  2006 con la vittoria alle elezioni per la Presidenza della Repubblica. Bachelet prese in mano il libro, interessata. Lo sfogliò. Decise di comprarlo, ma rinunciò, scandalizzata, quando venne a conoscere il prezzo. Non ricordo, ed è anche difficile dire ora, a quindici anni di distanza, quanto risultasse caro allora il libro in Cile. Certo più di 100 euro. Avevo allora cercato di capire quale era il prezzo del libro allora, nel 2002, nell’Argentina martoriata dalla crisi e dall’inflazione. Non ricordo bene, ma certo più di 500 euro. Non so quanto poteva costare quella unica copia già venduta, purtroppo, presa in mano in libreria da Abelardo Garcia Viera, Director del Archivo General de la Nación la mattina del 28 dicembre 2002 a a Montevideo, Uruguay.

Un libro non barato

Il Viaje literario: un libro che, come ogni libro, non solo ha il suo destino, ma si costruisce il proprio destino. Il Viaje, come ogni libro, occhieggia, richiama l’attenzione dagli scaffali di una libreria – una volta, una decina di anni fa, mi è capitato di vederne una copia, a prezzo scontato, in una libreria di Calle Corrientes, Buenos Aires. A merito dell’editore va detto che il libro, dopo diciotto anni dalla pubblicazione, è ancora in vendita. Il Viaje è oggi reperibile sul Web – se prima era quasi inaccessibile, ora lo è un po’ meno. Ho provato a cercare ora sulle librerie on line, per vedere quanto costa acquistarlo in Cile, in Argentina, in Colombia, in Perù, in Venezuela, in Messico. Ma ho rinunciato: mi perdo nell’intrico di cambi del dollaro nelle diverse valute, e nelle variabili spese di trasporto. A quanto pare, salvo il Messico -che ha da sempre un proprio mercato editoriale e librario abbastanza fiorente- negli altri paesi l’acquisto on line avviene tramite Amazon.com, spesso con l’aggiunta di un ulteriore intermediario.

Il destino del Viaje, dunque, è il destino di un libro che -lungi dall’essere barato: ‘a buon mercato’- è un libro che costa troppo. Se fosse costato meno, se fosse stato stampato direttamente in Colombia, in Messico, in Argentina, in Cile, avrebbe certo raggiunto più lettori. Ma comunque il Viaje, come ogni libro, ha viaggiato di bocca in bocca, e viaggia ancora sulla Rete. La sua storia è stata questa. Mi piace accettare questo destino. E cercarne tracce oggi.

Le recensioni su El País, su vari quotidiani spagnoli, su riviste di vari paesi ispanoamericani, quando il libro uscì, s ono una cosa. Cosa diversa, per me più lusinghiera, mi appaiono citazioni di quindici anni dopo. Via via capita che la Rete mi porti a scoprirne qualcuna. Leggo per esempio quello che scrive nel 2014 Daivi Felipe Arranz, docente dell’Universidad Carlos III di Madrid. Scrive a proposito di Julio Cortázar, uno degli autori che più amo.
“Verdaderamente Cortázar –como señala Francesco Varanini en Viaje literario por América Latina (2000)– ‘es tal vez el más grande de la generación de nuevos novelistas que se impuso en los años sesenta’. Las razones que aduce Varanini en su formidable ensayo para justificar este aserto son contundentes: ‘Revolución en el lenguaje, pero también gran atención hacia el mundo contemporáneo; plena liber- tad expresiva, pero también búsqueda constante de la coherencia ideológica. La elección de establecerse en París, pero también el cons- tante interrogarse sobre su propio ser argentino y latinoamericano'” (Crítica, 991-992, Mayo-Junio – Julio-Agosto 2014(.

In cerca di Andrés Caicedo

Vengo a sapere che il libro circola, si trova sui banconi di Fiere, e così parla ai lettori. Leggo su Goodreads il commento posto nel 2008 dal messicano Guillermo Jiménez: in calce alla scheda del Libro negro di Andrés  Caicedo. “De quién primero escuché hablar sobre Caicedo fue de Francesco Varanini. En la Feria del Libro de Monterrey del año pasado (2007) tomé el libro de este autor ¿italiano? y leí la contraportada. Nombre comunes y archiconocidos por todo latinoamericano, García Márquez, Funetes, Vargas Llosa…, y casi al final ponene, y cito: ‘y nos descubre algún tesoro semienterrado -Felisberto Hernández, Adalberto Ortiz o Andrés Caicedo-‘. Conozco poco la obra de Felisberto y me parece magnífica. Conozco el culto vedado que le tenía Cortázar y el rumor de que el argentino solo ‘copió’ al uruguayo. Así que me dije que los otros dos nombres debían valer la pena. Cuando leí sobre Caicedo, la persona, me interesé demasiado por su obra y corrí a las librerías esperanzado de encontrar algo de él. No hubo suerte. Hoy, un año después, he leído dos libros de él. Este, El libro negro y El cuento de mi vida. Y papá ya compró otros dos de él, que tan pronto terminé él, comenzaré yo: Angelitos empantanados y Calicalabozo“.
(“Alla Fiera del libro di Monterrey dell’anno scorso (2007) presi il libro questo autore italiano? e lessi la controcopertina. Nomi comuni e arcinosciuti da ogni latinoamericano, García Márquez, Fuentes, Vargas Llosa… e quasi alla fine mette, e cito ‘e ci svela qualche tesoro semisommerso -Felisberto Hernández, Adalberto Ortiz o Andrés Caicedo-“. Conosco poco l’opera di Felisberto e mi pare magnifica. Conosco il culto segreto che aveva per lui Cortázar e la voce che l’argentino non fece altro che ‘copiare’ l’uruguayano. Così mi dissi che gli altri due nomi dovevano valere la pena.
Quanto lessi su Caicedo, la persona, mi fece interessare tantissimo alla sua opera  e corsi in libreria speranzoso di incontrare qualcosa di lui. Non  ebbi sorte. Oggi, un anno dopo, ho letto due libri suoi. Questo, El libro negro e El cuento de mi vida. E papà ne ha comprati altri due suoi, che appena lui finirà, comincerò io: Angelitos empantanados e Calicabozo“).

Mi importa molto aver spinto qualche lettore a correre in libreria, in cerca di libri di Andrés Caicedo. (Del resto potete farlo anche  voi che mi leggete, qui in Italia: il libro di cui parlo, ¡Que viva la música!si trova ora presso le edizioni Sur, tradotto dall’amico Raul Schenardi. Con l’occasione sul blog della casa editrice è stato riproposto il mio capitolo). Ma non sono tanto ipocrita da negare che provo soddisfazione osservando come il dibattito attorno allo scrittore colombiano -divenuto in questi anni oggetti di culto- considera le mie pagine un punto di riferimento. Leggo così l’articolo di Juan Gustavo Cobo Borda, poeta e noto uomo di cultura, scritto a margine di un suo ricordo di Caicedo all’Universidad de lo Andes, Bogotá: “En todo caso, Francisco Varanini en su Viaje literario por América Latina (Barcelona, El Acantilado, 2000), uno de los mas finos análisis de la obra de Caicedo, concluye: ‘Al anularse en su propia obra y renunciar a la vida, el autor conquista, para si y para una generación entera, el derecho al recuerdo’ (p. 373)”. (In ogni caso Francesco Varanini, nel suo Viaje literario por América Latina, una delle più fini analisi dell’opera di Caicedo conclude: ‘All’annullarsi nella sua propria opera e nel rinunciare alla vita, l’autore conquista, per sé e per una intera generazione, il diritto al ricordo”).

Sempre a proposito di Caicedo, leggo un ampio, accurato articolo sul blog di Tomás Astelarra, musicista e scrittore argentino. Astelarra cita Antonio García Ángel, romanziere caleño (di Cali, la città intensamente vissuta e raccontata da Caicedo). Dice García Ángel: “hay una autor que se llama Francesco Varanini, italiano, que tiene un libro, El Viaje Literario por América Latina. Es un autor bastante riguroso hablando sobre Felisberto Hernández, Borges, Cortazar, Jorge Edwards, García Márquez, y uno de los capítulos esta dedicado a Caicedo. Y es un buen capítulo, lo pondera”. (“C’è un autore che si chiama Francesco Varanini, italiano, che ha un libro, El Viaje Literario por América Latina. E’ un autore abbastanza rigoroso parlando di Felisberto Hernández, Borges, Cortazar, Jorge Edwards, García Márquez, e uno dei capitoli è dedicato a Caicedo. Ed è un buon capitolo, lo giudica positivamente”).

Le polemiche letterarie sono sempre vive. E anzi si ripetono. Di recente, di fronte alla fama postuma di Caicedo, si levano ovviamente voci revisioniste: “Muchos jóvenes literatos caleños también han dejado de profesarle fe a Caicedo” (“Anche molti giovani letterati caleños hanno cessato di credere a Caicedo”), scrive il 4 marzo 2017 su Vice Felipe Sánchez Villarreal. Risponde il 9 marzo Mario Jursich difendendo “la relevancia de Andrés Caicedo”. “Sobre Caicedo han escrito los colombianos Juan Gabriel Vásquez y Carolina Sanín, el chileno Alberto Fuguet, el italiano Francesco Varanini, el argentino Juan Forn y el mexicano Chema Espinosa. ¿Qué otro escritor nuestro puede presumir de haber concitado semejante atención?”.

Una tappa messicana

Il 22 ottobre 2007 ricevo una e-mail da parte di Nicolás Cabral. “Antes que nada, me presento. Edito desde hace nueve años la revista mexicana de artes La Tempestad, la publicación de referencia en su campo. He leído textos tuyos a través de internet y conozco tu interesantísimo Viaje literario por América Latina. Con el nuevo tema que estamos trabajando, me entusiasmó la idea de invitarte a colaborar con nosotros”. Cabral mi scrive che “estamos preparando un dossier titulado ‘Saldos del Boom'”. “Se trata de revisar críticamente los aportes de los nombres más célebres del llamado Boom y, en algunos casos ¿no en todos?, de poner en evidencia la sobrevaloración de sus obras”. Non per polemica, non per scandalizzare, ma semmai per proponer una relectura y una nueva valoración. “Los elegidos son, quién más: Cortázar, Vargas Llosa, Cabrera Infante, Fuentes, Donoso y García Márquez”. Mi domandavo, continua Cabral, “si te interesaría escribir sobre García Márquez”. Il dossier -comprendente il mio articolo, intitolato “Nunca ahorrarse un adjetivo”- esce nel numero 57 della rivista, noviembre-diciembre.

Cile, terra d’elezione

Torno ora su qualche vicenda cilena. Il Cile, per accidenti della storia che forse non conosco, sembra essere, per il Viaje literario, terra d’elezione: terra dove non si è nati, ma si sceglie di vivere.

Il critico letterario cileno Rodrigo Pinto, bontà sua, nel gennaio 2010 inserisce il Viaje literario tra i suoi dieci saggi preferiti del decennio precedente. Non mi soffermo qui sulle lusinghiere parole che dedica al libro. Mi soffermo invece su come venne a conoscenza del libro. “La edición de Acantilado es de 2000 y yo lo leí en los primeros meses de 2001, cuando un buen amigo me lo trajo de Buenos Aires” (“L’edizione di Acantilado è del 2000 e io lo lessi nei primi mesi del 2001, quando un buon amico me lo portò da Buenos Aires”). Dunque il libro arriva a Santiago da Buenos Aires, dove doveva costare un dineral, un montón de plata, un mucchio di soldi. Arriva in buone mani per uno scambio tra amici. Arriva a prescindere dalla casa importatrice di Edwards. Un anno e mezzo dopo ricevo l’e-mail di Xavier Gómez… Nel 2010 Pinto nota che “ahora, por fortuna, Acantilado tiene distribución local y es posible encontrarlo acá, y no TAN caro para lo que es” (“adesso, per fortuna, Acantilado ha un distributore locale e è possibile trovarlo qui, e non TANTO caro per quello che è”). Potete trovarlo qui: ho lasciato nel testo il link che appare sul blog di Pinto. Rimanda al sito della Libreria Antártica di Santiago. Ma come potete vedere la scheda appare vuota. Il Viaje non è più acquistabile tramite quel canale: è così restituito al suo destino di libro TANTO caro. Difficilmente reperibile.

Pinto, poi, in quello stesso 2010, chiama in causa l’autore del Viaje literario in una polemica particolarmente viva. All’inizio di settembre dovrà essere assegnato il Premio Nacional de Literatura, premio biennale, dal 1942 maggior riconoscimento letterario cileno, riconoscimento ad una intera carriera. Lobby editoriali e politiche sostengono la candidatura di Isabel Allende. Tra i contrari, Pinto. Il 9 luglio scrive su El quinto poder una opinione intitolata ¿Qué se premia cuando se premia? – fermamente contraria alla candidatura di Isabel Allende. Il 13 luglio il testo appare anche su El Mostrador. “Per collocare al meglio la prospettiva nella quale si situa la narrativa di Isabel Allende e dedurre da lì se si merita il Premio”, argomenta Pinto, “quiero partir por el ensayo más sugerente y provocativo sobre literatura latinoamericana que he leído en los últimos años. Lo escribió Francesco Varanini, un antropólogo y periodista italiano, así que no fue obra de profesores de este lado del mundo ni de académicos de universidades estadounidenses, y ni siquiera de especialistas en literatura” (“voglio partire dal saggio più suggestivo e provocante sulla letteratura ispanoamericana che ho letto negli ultimi anni. L’ha scritto Francesco Varanini, un antropologo e giornalista italiano, cosicché non è opera di professori di questo lato del mondo né di accademici di università statuinitensi, e neanche  di specialisti di letteratura”). Continua Pinto: “El valor de Paseo literario por América Latina [sic] radica precisamente en su carácter excéntrico, en su articulación desde un territorio fronterizo que le permite moverse con singular libertad” (“Il valore di Passeggiata letteraria in America Latina si radica precisamente nel suo carattere eccentrico, nella sua articolazione da un territorio di frontiera che gli permette di muoversi con singolare libertà”). Da questa posizione Varanini può quindi osservare “cómo se consumen libros producidos en estas latitudes en el megamercado editorial del viejo continente” (“come si consumino libri prodotti in queste latitudini nel megamercato del vecchio continente”). Pinto  insomma è d’accordo con me nel giudicare Isabel Allende una tarda seguace di quello stile letterario esotico-latinoamericano-di-maniera che si afferma con García Márquez, quando questo, raggiunto il successo, si arrende al mercato. Si giunge così alla conclusione: “Si lo que se quiere es distinguir a una persona que ayuda a que la marca Chile se posicione mejor en los mercados internacionales, está bien”. “En cambio, si lo que se quiere es premiar excelencia literaria”, “el premio a Allende parecerá, con el paso de los años (…) una cesión espuria a favor de la fama y la popularidad” (“Se ciò che si vuole è gratificare una persona che aiuta la marca Cile a posizionarsi nei mercati internazionali, va bene”. “Invece, se si vuole premiare la eccellenza letteraria”, “il premio a Allende apparirà, con passare degli anni (…) come cedimento spurio alla fama e alla popolarità”).

Risponde piccata il 19 luglio, sempre su El MostradorElizabeth Subercaseaux – una scrittrice che non esiterei a definire una tarda seguace di Isabel Allende. La sua opinione ha per titolo Haciendo gárgaras con las palabras (Facendo gargarismi con le parole). Secondo Subercaseaux l'”antropólogo de cognome Varanini” “dice disparates enormes” (“enormi assurdità”). Pinto si servirebbe dunque di “un italiano que no significa nada, nada de nada para nosotros” (un italiano che non significa niente, niente di niente per noi”), per mostrare la sua gratuita antipatia per Isabel Allende.

Interviene quindi il 23 luglio, ancora su El Mostrador, Gustavo Faverón, scrittore peruviano. Nota come  “los argumentos de Subercaseaux se refieran exclusivamente a la recepción de Allende en el extranjero”. I meriti di Allende si riconducono dunque solo “al hecho mismo de que exista una recepción numerosa y extensa en el mundo académico y el comercial. Parece que en Chile también hay quienes sólo pueden medir la calidad de lo propio en función de cuánto se habla sobre ello en otros países”.  (Gli argomenti di Subercaseaux si riferiscono esclusivamente alla ricezione di Allende all’estero”. “…Al fatto stesso che esista una ricezione numerosa ed estesa nel mondo accademico e commerciale. Pare quasi che anche in Cile ci  sia chi crede di poter misurare la qualità della propria letteratura in funzione di quanto si parla di essa in altri paesi”). Ma curiosamente, nota Faverón, “cuando Pinto se apoya en las observaciones de un lector extranjero, el antropólogo italiano Francesco Varanini, crítico literario de oficio que muchas cosas ciertas ha dicho sobre el progresivo vaciamiento de sentido del realismo mágico latinoamericano en los últimos veinte años, la respuesta de Subercaseaux es cuestionar la validez de los argumentos del italiano” (“quando Pinto si appoggia sulle osservazioni di un lettore straniero, l’antropologo italiano Francesco Varanini, critico letterario di mestiere che ha detto molte cose giuste sul progressivo svuotamento di senso del realismo magico latinoamericano negli ultimi venti anni, la risposta di Subercaseaux è mettere in dubbio la validità degli argomenti dell’italiano”).
Mi piace notare che Faverón ha ancora bisogno di collocarmi in qualche schema -antropologo-, ma poi parla di “crítico literario de oficio”: qualcuno che esercita l’ufficio, la funzione di critico letterario. Qualcuno che è  critico letterario nei fatti, a prescindere dalla collocazione accademica e istituzionale. Qualcuno, aggiungo, che sottolinea il suo essere ‘straniero’: dichiarandomi straniero -e in questo sì, mi sento profondamente ‘antropologo’- chiedo agli amici cileni e in genere ispanoamericani non solo di costruire liberamente la loro letteratura, ma anche di costruire la storia e la critica di questa letteratura. Se nel Viaje literario parlo di radici europee della letteratura ispanoamericana, è perché voglio portare alla luce ciò che nella letteratura ispanoamerica c’è di più originale; se racconto di come la letteratura ispanoamericana è recepita in Europa, è per stimolare agli amici ispanoamericani a scrivere senza subordinarsi a questo giudizio straniero.
Comunque, nonostante la campagna contraria condotta da Pinto, Faverón, vari altri e -indirettamente- da Francesco Varanini,  i giornali cileni usciranno il 2 settembre con il titolo: “Isabel Allende recibe Premio Nacional de Literatura 2010”.
Questa polemica ha, dal mio punto di vista, una coda. Due anni dopo, nel 2012, Luis Sepúlveda -a mio modo di vedere, l’unico ambasciatore della letteratura cilena peggiore di Isabel Allende- apre a Milano Bookcity. Tre anni dopo, nel 2013, il Cile è il paese ospite ufficiale al Salone del Libro di Torino. Di Sépulveda ancora al centro della scena e dell’immagine distorta della letteratura cilena scrivo qui.

Noto che Rodrigo Pinto, nonostante le reprimende di Elizabeth Subercaseaux, non cessa di citarmi. Su El Mercurio Pinto recensisce brevemente nel 2013 Os Malaquias della brasiliana Andréa del Fuego. Rileva come possa sorprendere “encontrar (…), la huella ya antigua del realismo mágico en autores de generaciones más contemporáneas” (trovare le ormai antiche tracce del realismo magico in autori delle generazioni più contemporanee”. Ma nota anche che “el lenguaje poético de Del Fuego está, por fortuna, muy lejos de los manierismos acartonados del lenguaje nobelmarquiano, según lo caracterizó tan bien el periodista italiano Francesco Varanini”. Manierismi acartonados: potrei tradurre in diversi modi: cartolineschi, rigidi, ingessati, incartapecoriti. Il Viaje literario ha ottenuto il suo scopo, se funziona da cartina di tornasole, e invita i critici a chiedersi se un testo narrativo è autentico, nuovo, frutto del libero pensiero di un autore, o è invece vieta ripetizione di uno stereotipo di moda.

Solo mantenendo vivo questo  atteggiamento critico si può ri-scoprire, nelle stesse pagine di García Márquez -cito qui citazioni del Viaje literario che appaiono sul Centro Virtual Cervantes, il “calor de la voz que relata” (“il calore della voce che racconta”), il “mundo imaginario, fuera de las reglas, que nos supo regalar” (“Il mondo immaginario, fuori dalle regole, che ci seppe regalare”).

Razzia di un cervello quasi cibernetico

Mi devo fermare. Ancora solo un riferimento a Ricardo Bada. Ho già parlato della sua recensione sulla Revista de Libros dove, nel 2000, ai tempi dell’uscita del Viaje, mi onora scrivendo che “este libro está ordenado por una mente muy sutil. Un cerebro casi cibernético, poblado de datos y con un Search de primera categoría” (“questo libro è organizzato da una mente molto sottile. Un cervello quasi cibernetico, popolato di dati e un un Search di prima categoria): un giudizio che mi pare dia ragione anche del mio interesse per l’informatica, del quale dubito Bada sapesse qualcosa.

Sedici anni dopo, nel dicembre 2016, Bada ritorna a parlare del Viaje nel suo blog Corazón de Pantaleón, legato al già citato quotidiano di Bogotá El Espectador: “Me temo que sea bastante desconocido entre nosotros un libro revulsivo y tal vez necesario, de un antropólogo italiano, Francesco Varanini, titulado inocentemente Viaje literario por América Latina” (“Temo che sia abbastanza sconosciuto da noi un libro revulsivo e forse necessario di un antropologo italiano, Francesco Varanini”). Revulsivo: cito dal Diccionario de la Real Academia: “Que provoca una reacción brusca, generalmente con efectos beneficiosos”. E Bada riprende quindi parte di ciò che aveva scritto nel 2000: “¿Viaje? Más que “viaje” yo lo hubiese titulado “batida, redada”, incluso “razia”, si bien hay que ser honestos y confesar que el objeto principal de toda razia, que no es otro que el botín, en este caso es un botín para el lector, aunque también lo fuera en su momento para Francesco Varanini, el autor del libro”. (“Viaggio? Più che ‘viaggio’ io l’avrei intitolato ‘battuta di caccia, retata’, o anche ‘razzia’, anche se bisogna essere onesti e confessare che l’oggetto principale di ogni razzia, che non è altro che il bottino, in questo caso è un bottino per il lettore, sebbene lo sia stato a suo tempo per Francesco Varanini, l’autore del libro”).

Il viaje del Viaje nel suo continente, in America Latina, mi pare riassunto in modo esemplare da Bada. Lo ringrazio per questo. La lettura della scena letteraria ispanoamericana proposta nel saggio, scrive, “alcanzó una densidad que por momentos deja estupefacto al lector: claro, claro, se dice uno, pegándose una palmada en la frente, ¿cómo he podido ser tan ciego (o tan tonto) que he dejado de ver semejantes cosas? En realidad no debiéramos ser muy duros con nosotros mismos: de hecho no fuimos ni ciegos ni tontos y sí nos dimos cuenta a su debido tiempo de que la potencia creadora de algún monstruo sagrado se había ido de vacaciones por tiempo indefinido. No ciegos ni tontos, pero sí fuimos tal vez demasiado benevolentes, aguardamos con paciencia a que la buena señora (me refiero a la potencia creadora) regresara de esas vacaciones. En fin.” (“Raggiunse una densità che a momenti lascia stupefatto il lettore: chiaro, chiaro, si dice uno, dandosi una manata in fronte, come ho potuto essere tanto cieco (o tanto tonto) dal non vedere queste cose? A dire il vero non dovremmo essere così duri con noi stessi: di fatto non eravamo né ciechi né tonti e sì che ci eravamo resi conto a suo tempo che la potenza creativa di qualche mostro sacro era andata in vacanza per un tempo indefinito. Non siamo stati né ciechi né tonti, ma forse sì troppo accondiscendenti; abbiamo aspettato con pazienza che la buona signora (la potenza creativa) tornasse da questa vacanza. Così stanno le cose”).
Lungi da me l’idea di aver considerato cieco o tonto qualche amico lettore. Semmai, do del cieco e del tonto a me stesso: quante volte ho subito il gusto comune, le mode. Quante volte non sono stato lettore acuto e libero. Da straniero, il contributo che posso dare alla cultura ispanoamericana, vent’anni fa come oggi, è guardarla dall’esterno, da lontano, come un oggetto d’amore da curare e da difendere. Da difendere dalle sue stesse cadute, dalle vuote iterazioni e dalla sua mercificazione.

Chiusa cronopiesca

Infine, quasi al termine delle pagine che Google propone in risposta all’aver io scritto nella finestra di ricerca “Viaje literario por América Latina”, così, tra virgolette, trovo una pagina scritta in cinese.

Chiederò ora lumi a un amico che conosce il cinese. Ma usando il traduttore di Google (strumento meraviglioso di novità cronopiesche) credo di capire qualcosa. Si tratta della scheda editoriale di un libro uscito nel novembre 2012. Un tal Fan Ye si è assunto il benemerito compito di tradurre in cinese, accompagnando la traduzione con una Postfazione, le Historias de cronopios y famas di Julio Cortázar – forse l’autore al quale, nel mio libro, dedico più affettuosa attenzione.
Editore  dell’edizione cinese: Nanjing University Press; prezzo: 25 yuanes; rilegatura: Hardcover; pagine: 159.
La pagina web di cui do notizia, a quanto capisco, offre un estratto della Postfazione. Lì vengo citato tra le fonti, accanto a quello che considero il miglior interprete di Cortázar, Saúl Yurkievich.
Cronopiesco -non poteva essere altrimenti- è il modo in cui il traduttore di Google rende in italiano la la traduzione cinese del titolo: Enciclopedia Kronopio. Ma, per me, c’è di più. Leggendo tramite il traduttore di Google, apprendo da Fan Ye cose cose che, lo ammetto, non sapevo. Historias de cronopios y famas -dice Fan Ye citando lo stesso Cortázar- è stato scritto in Italia, durante un viaggio che Julio fece assieme a sua moglie Aurora Bernárdez. “Testo nato in un hotel o in una stazione ferroviaria”. Forse per questo, commenta Fan Ye, “i capitoli sono relativamente corti”.

(Scritto il 28 dicembre 2017; ultima revisione 22 dicembre 2018)